I premi di Venezia, i nostri giudizi

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Venezia, 10 settembre 2017 – Si conclude una Mostra che ha guardato in faccia la nostra contemporaneità con tutta la sua varietà di fenomenologie positive e negative in una gradazione che parte dall’ambiente famigliare, alle singole persone, alle piccole comunità, alla grande platea sociale. Ciò che lega i contenuti delle pellicole presentate è la cura riuscita di una meticolosa introspezione sia degli ambienti che dell’intimo delle persone, del loro confrontarsi od opporsi per affermare il diritto ad esistere con dignità o adattarsi alla propria sconfitta.

Onnipresenti gli scontri etici- socio-politici dovuti all’onda inarrestabile dell’immigrazione e a singoli tentativi per umanizzarla o arginarla, ma a livello dirigenziale non ancora dovutamente risolta. Affiorano i conflitti medio orientali,gli odi etnico-religiosi tra libanesi, palestinesi, israeliani. Si riesumano le vecchie ruggini -affioranti ancor oggi – tra le potenze russo-americane. Emerge nelle pellicole dei registi cinesi l’antitesi irrisolta tra la traduzione nella prassi delle teorie di Marx e l’esplosione della loro potenza economica. Inevitabile nei film italiani e in quelli americani le conseguenze letali della presenza della camorra e e dell’onorata società in genere e il debole tentativo di arginarle. Più drammatiche le situazioni dei singoli individui con i loro intimi travagli che l’orgoglio o la paura di perdere il contatto con l’ambiente gettano ancor più nella sofferenza e nell’isolamento. Importante che che queste tematiche affiorino nelle opere filmiche e che se ne discutano per lenire e risolvere.

Spiace che in due film come in “The Leisure Seeker” di Verzì e in “La villa “ del francese Robert Guediguian i problemi della vecchiaia siano risolti con disinvoltura con il suicidio delle coppie.

Certo l’emergere nei film presentati della necessità di capirsi e di discutere e non di scontrarsi è un traguardo etico di impensabile risultato, rimangono nel silenzio il problema religioso, l’esigenza di arricchimenti interiori nei rapporti di coppia per non ridurre il tutto alla meccanicità e alla istintualità.

Il Presidente Baratta è orgoglioso di come”Il cinema virtuale confermi che il cinema è esploso : si entra in pochi, è lo schermo che si è mangiato lo spettatore e lo fagocita, si è interattivi, si diventa parte dello schermo. Ma Venezia è anche un luogo di pellegrinaggio nelle sale, dove si discute, si incontrano persone”. Così il Lazzaretto Vecchio, un tempo ospedale di sosta per marinai in quarantena, è diventato il “regno” della Realtà virtuale cinematografica. E ancora più soddisfatto aggiunge:”Non siamo più noi ad andare a New York per chiedere che ci diano certi film, perché gli americani hanno capito che venire a Venezia a fare promozione serve”.

Spiace pure che gli altri tre film dei registi italiani non siano stati presi in considerazione dai Giurati perché avevano da offrire delle novità socio-culturali e tecniche notevoli.

Il celebre regista cinese Ai Weiwei, in esilio per le sue contestazioni civiche, con il suo documentario “Human Flow” ha allertato l’Europa, colpevolmente disattenta al tragico assedio di popoli che invocano un minimo di dignità umana.

Il suo “Human Flow”, pur non essendo all’altezza delle sua fama di letterato, imprime al disperato grido cosmico di popoli in fuga dalle loro terre martoriate , una sanguinante invocazione per non essere relegate nell’inesistenza. Egli esige a tutti l’impegno a trattare questi popoli come esseri umani, talmente brutalizzata , anche per colpa nostra, la caduta della loro esistenza.

Il regista Andrew in”Lean on Pete” ci offre un film impostato in un perfetto equilibrio tra i sentimenti e drammatiche situazioni esistenziali. Le giornate dell’adolescente Charley, impersonata da un promettentissimo Carlie Plummer, scivolano tra la scioltezza di giornate serene e la tragicità vissuta con la dignità di un uomo maturo. L’amore tra il ragazzo e il cavallo Pete , il rapporto tra la zia e il nipote Charle si fondono in armoniose e profonde affinità. Nel dirigere il film Andrew è riuscito a non annebbiare la limpidità del dramma con cadute psicologiche banali.

Per la sorprendente recitazione del giovane CARLIE PLUMMER LA GIURIA GLI CONFERISCE IL PREMIO MARCELLO MASTROIANNI, QUALE GIOVANE EMERGENTE.

Un pauroso temporale inviò martedì pomeriggio 2 settembre tuoni e lampi sul Lido e contemporaneamente i due gemelli di sei mesi di George Clooney alzarono toni altissimi dei loro atterriti vagiti dalle loro culle in una elegante suite dello storico Hotel Excelsior. Ci pensarono le due nurse a calmarli mentre il papà dispensava il suo fascino nelle interviste agli schieramenti degli inviati internazionali. La sua quinta fatica di regista è un film di denuncia tra una provocante ironia e uno sdegno per i suoi concittadini che non sono ancora riusciti ad affrontare le loro questioni razziali perché immersi “nella loro stupidità umana, matrice di violenza sociale”.Nel “Suburbicon” -cittadina simbolica dove convivono felici ricchi borghesi – esplode una rivolta razzista per la nuova presenza di una famiglia afroamericana e nello stesso tempo si spegne nei delitti una famiglia

divorata dall’avidità e dalla maglie della mafia locale. Pur seguendo la traccia di una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen, Clooney conduce la trama con energico polso di autore, sicuro del suo messaggio “politically oriented” e ottimamente considerato dalla critica internazionale. Non ci sono pause neutre nello scorrimento dei fatti e la tensione è pregnante in tutto il film. Impeccabile la

recitazione dei due protagonisti Julianne Moore e Matt Damon.

Ci introduce invece nell’alveo della tragedia greca il film del regista israeliano Samuel Maoz, che nel 2009 vinse il Leone d’oro con “Lebanon” tra la perplessità della stampa specializzata: tutte le scene girate all’interno di un carro armato. Questa volta il commento sul suo “Foxtrot”può raggiungere forme di acuta perplessità perché le scene abbondano di una alquanto stanca penetrazione psicologica, pescando troppo nel simbolismo e nei suggerimenti del teatro dell’assurdo. Visto tuttavia in altra ottica il film ci propone scene di alta profondità interlocutoria, l’isolamento disperato dei combattenti israeliani non sicuri del tutto della legittimità della loro guerra. Tra la sorpresa della stampa LA GIURIA CONFERISCE AL REGISTA ISRAELIANO SAMUEL MAOZ PER IL SUO “FOXTROT” IL LEONE D’ARGENTO. GRAN PREMIO DELLA GIURIA.

Virzì oltre ad essere un raffinato osservatore della borghesia e della suburra e delle loro varianti burrascose per dignitosi traguardi sociali, mostra una ricchezza di sensibilità e prenetrazione psicologica soprattutto nel suo ultimo film girato in lingua inglese “The Leisur Seeker (Elia &John”) ) avvalendosi come protagonisti di due fenomenali attori ,Heòen Mirren e Donald Sutherland. Nel film è indagato con limpida penetrazione psicologica ogni angolo di una profonda vicenda d’amore di due coniugi al limite della vita, colpiti da malattie che non perdonano. Il regista saggiamente ha concesso una libertà assoluta ai due attori di declinare al massimo la loro arte recitativa, auto – lettori impareggiabili della terza età. Virzì ha raccontato ,assieme ad essi, la vecchiaia, con misura e sensibilità senza cadere nel patetico .Negli sprazzi di lucidità che la malattia concede alla coppia, la moglie con amore e delicatezza si assume i due ruoli di coppia : prende il volante della vecchia roulotte per un ultimo disperato viaggio. Verzì non trascura il suo messaggio sociale sottolineando con veloci ed efficaci inquadrature la presenza di un siriano alle pompe di benzina e della cameriera afro americana al ristorante che disserta di Shakespeare , fresca di una laurea linguistica.

Gli stessi richiami psicologici si rincorrono nelle scene del film del francese Guédiguian “La villa”, dove la tenera accoglienza di tre bimbi, scampati da un naufragio di clandestini, da parte di tre fratelli purificati dal loro travaglio esistenziale : un professore costretto per motivi politici ad allontanarsi da una cattedra prestigiosa,per poi precipitare nell’oscurità della depressione, il ristoratore che applica la missione del padre invalido di rendere accettabile l’ospitalità per chi ha il denaro misurato e l’attrice ancora attiva che disdice una remunerante tournee per assaporare un amore di adolescente trasparenza e insieme la recuperata mansione materna per i tre piccoli esuli. Un mondo impastato di malinconia e di un nuovo volto di ospitalità. Un film che fila su binari di delicati e sofferti contatti umani.

Frederick Wiseman,Leone d’oro alla carriera l’anno scorso è il grande indagatore della società contemporanea e delle sue istituzioni. In questo suo “Ex libris-The ny Public Library”esalta l’attività di promozione socio-culturale della New York Public Library, una delle istituzioni bibliotecarie più prestigiose al mondo con un patrimonio di quasi 50 milioni di articoli (video cassette, mappe, foto, ,stampe e altro) di cui 16 milioni di libri. Pur soffermandosi alquanto su conferenze e attività di promozione, le sue riprese sono un preziosissimo documento della vitalità culturale della famosa biblioteca di N.Y. in cui interagiscono tecnici esperti, intellettuali, circoli, istituzioni locali che di fondono e rinnovano l’esigenza di cultura. L’analisi minuziosa della macchina da presa di questo grande regista rimane un documento unico , vivace e sorprendente delle interelazioni tra la società e monumento celeberrimo come la Biblioteca di N. Y.

Il regista Martin McDonagh in “Three Billboards Outside Ebbing Missouri” scava nel razzismo del profondo Missouri dove una madre , dopo mesi in attesa di trovare il colpevole dell’omicidio della figlia adolescente bruciata e stuprata, espone tre cartelloni pubblicitari sui quali scrive tre messaggi impellenti contro lo sceriffo e le istituzioni lente o distratte, innescando a sua volta altre violenze. Ciononostante è un film divertente e malinconico che conduce all’unica soluzione di ogni torto privato o pubblico : il segreto consiste nel trovare nella rabbia l’umanità che alberga in tutti noi. I dialoghi sono di una vivacità avvincente, colmi di di battute che chiariscono intrigate vicende.

Per tale vivacità drammatica e sociale la GIURIA CONFERISCE AL FILM DELL ‘INGLESE MARTIN McDONAGH -”THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI”- IL PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA.

Deludente il lavoro di Sebastiano Riso nella “Famiglia” applaudito dal pubblico ma massacrato dalla critica :racconta fin dove può portare l’amore malato di una coppia che vive alla periferia di Roma il cui maschio costringe la propria compagna a sedute di sesso senza amore per metterla incinta e poi venderne il bebé. E’ la loro forma di sostentamento. L’istinto materno della donna non può non ribellarsi ed esigere almeno che l’ultimo nato possa tenerselo per sé, ma invano. La finalità del film è chiara : la condanna del mercato nero dei bambini e i drammi laceranti che vi si accompagnano. Un lavoro purtroppo concepito con la presunzione di farne un capolavoro perché troppo evidente l’impostazione che richiama gli stili del cinema d’autore. Tutto è pervaso da una eccessiva ansietà, agitazione e la non felice scelta degli attori.

Il giapponese Hirokaru nel suo “Il terzo assassinio” tratta del senso della colpa e del perdono e dell’impossibilità di stabilire la verità. Cos’è la verità domanda Pilato a Gesù. Il regista risponde che esistono a livello umano molte verità, nessuna verità. E’ per tale labilità umana che nel film la giustizia sbaglia e conferma che il terzo omicidio dell’imputato sarà a carico dello Stato. Il film è ricco di suspance e di contenuti contrastanti che formano il corollario di un processo. I personaggi sono visualizzati da primo piani psicanalizzanti. Scene conturbanti e vivaci contenenti il forte messaggio che nessuno può giocare con la vita.

Darren Aronofsky , il regista che ha ricevuto il “il Leone d’Oro” con “The Wrestler” nel 2008, sparge nel suo “Mother” reazioni tempestose tra i critici per la provocazioni accentuate nella tematica narrata : si tratta della reinvenzione della creazione biblica nel suo sesto giorno e di altri passi noti.” la Bibbia – confida il regista – è il libro più antico del mondo, ci sono storie potenti dal punto di vista mitologico”. Così nell’Eden della coppia in attesa di un bimbo irrompono personaggi simbolici fra cui Caino e Abele e una torma di gente che sarà sommersa dall’acqua- simbolo del diluvio univesale. A queste tragedie segue una guerriglia da horror, quale metafora dell’epoca odierna intenta a distruggere l’ambiente. Per il regista la creazione – simboleggiata dal protagonista illustre romanziere – è più importante della vita. Ed felice – ancora la sua confessione – affiancandosi “al narcisismo di Dio”. Un film controverso salvato parzialmente dalla sofferta recitazione della giovane attrice Jennifer Lawrence, per cui folleggiano le ragazzine. L’irriverente Aronofsky si è autodistrutto artisticamente per la sua presunzione.

Siamo agli scorci degli anni venti quando il regista australiano Warwick Thornton imposta la sua storia nel suo “Sweet Country” dove nella sua terra la segregazione della popolazione aborigena è devastante: un aborigeno è in fuga dopo aver ucciso per legittima difesa un bianco ubriaco di odio e di alcool. Braccato, si presenta alla polizia e viene processato. E’ un genere western con tutto il suo corollario iconografico : praterie aride con pini scoloriti, saloon, fughe, morti ammazzati e forche. Il regista esamina i particolari con lentezze inquisitorie e indugia sulle suggestioni panoramiche delle rocce rossastre. Il ritmo è solenne nelle riprese originali durante il processo e destano emozioni scioccanti. La presenza di un cowboy di fede religiosa profonda è l’unica fonte di pause di pace e di immersione nella fraternità delle razze. Un chiaro messaggio che pure gli aborigeni hanno un’anima bianca. PER TALE CORAGGIO DI DENUNCIA E DI FRESCHEZZA ARTISTICA LA GIURIA GLI CONFERISCE IL PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA.

“Volevamo con questo nostro film -dichiarano i due fratelli Manetti Bros registi di “Ammore e malavita – superare il “gommorrismo” che dipinge Napoli solo come centro di camorra e dà di Scampia un’attrazione come il Colosseo e la Torre Eifel”. I registi sono riusciti a formulare il film con un ritmo sostenuto, armonizzando sceneggiatura e melodie affascinanti. Il contenuto è semplice e scontato : un boss per salvarsi, fa ammazzare un sosia al suo posto, mentre nel frattempo un suo killer non se l’è sentita di uccidere una vittima innocente ,testimone pericolosa, che si è rivelata il suo grande amore della sua adolescenza. Scene dalla suspance frenetica di scontri malavitosi, di sketchs dall’ironia divertente propri della commedia all’italiana, pezzi musicali lanciati ad assordante respiro che hanno illuminato la gloriosa sceneggiata napoletana. Le voci di Giampaolo Morelli (Ciro) e di Claudia Gerini (Maria) incantano la platea.

“Vorrei che il mio film apparisce agli spettatori un inno alla vita e alla felicità” si augura Abdellatif Kechiche,l’autore del film “Mektoub,My love:Canto uno”; in verità è un inno alla libertà dei corpi e all’esasperazione di un ossessivo voyeurismo impersonato dal giovane protagonista in cerca di ispirazione per le sue sceneggiature. Il regista è un mago della macchina da presa nel creare,prolungando pesantemente le scene mediante ripetitive fabulatorie, la sete di vitalità esistenziale della gioventù non sorretta da valori, ribelle al tran tran della vita in una località balneare del sud della Francia. La musica è lanciata per quasi tutto il film al massimo della sonorità per sottolineare la galvanizzazione bacchica e sensuale di tali giovani. Kechiche è ben lontano dall’ispirazione del suo ”La vita di Adele” premio Palma d’Oro a Cannes 2013.

La fervida denuncia di un male radicato nel cuore della Cina odierna da parte della regista Vivian Ou alla sua prima prova cinematografica “Gli angeli vestiti di bianco”. Già il titolo incrocia innocenza e perversità : la diffusione della violenza sui minori e la prostituzione adolescenziale e preadolescenziale. E’ la storia di due bambine violentate in un hotel dove l’unica testimone non può salvarle perché clandestina. Si spalancano in queste scene desolanti gli occhi di una generazione indifesa nel trionfo di una etica degenerata in un Paese ,come la Cina attuale, che dovrebbe “servire il popolo”.

La critica accoglie Pallaoro come il regista dallo sguardo internazionale e di un futuro professionale di grande livello. La stessa Charlotte Rampling confessa la propria soddisfazione di lavorare insieme a lui, sicuro nella sua azione di giovane talento. “Andrea mi fa sentire bene”.

Nella trama del film la grande attrice parla pochissimo ma le sue movenze, i suoi occhi offrono ,in una ampiezza drammatica, la solitudine, il dolore, la ribellione, la forza di reggere le conseguenze di colpe non sue. Molte scene sono girate in un ambiente dalle serrande chiuse, in una penombra che rivela il duello interiore della protagonista immersa nella solitudine.

Giustamente LA GIURIA OFFRE LA COPPA VOLPI A CHARLOTTE RAMPLING PER LA MIGLIORE ATTRICE.

Pallaoro si attiene al dettato dei film d’autore, forse ne è eccessivamente legato, ma lascia il segno di una vigorosa originalità, di forza emotiva, di penetrante introspezione con l’aiuto soprattutto

dell’uso prolungato dei primi piani, alle volte scultorei, alle volte abbozzati nella penombra. Tutto il racconto si attorciglia e si distende armonicamente attorno alla sua figura.

Il regista francese, esordiente, Xavier Legrand nel suo “Jusqua La Garde” mette lo sguardo sul dramma di una coppia mal riuscita che si contende i due figli. La trama è diretta con la suspence di un abile giallista, descrivendo simulazioni che sfociano in scene da incubo. Spicca la figura di Julien, il figlio più piccolo, inquadrato nella innocenza ferita e nelle sue reazioni di ribellione a sofferenze ingiuste. Le sequenze sono girate con dignità professionale ma nel solco di una narrativa piuttosto prevedibile. Nonostante ciò LA GIURIA GLI OFFRE IL LEONE DEL FUTURO – PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIS”

Guillermo del Toro vince IL LEONE D’ORO PER IL MIGLIOR FILM CON IL SUO “THE SHAPE OF WATER”, una magnifica parabola del conflitto tra mondo reale e mondo stellare la cui risoluzione consiste nello sforzarsi di capire l’altro per conoscerlo e amarlo.

La protagonista, muta da quando era bambina, è l’unica in grado di aprire un canale di comunicazione con la creatura extraterrestre che l’America in piena guerra fredda vorrebbe sfruttare contro i russi. Il film si inoltra in una favola di scontri diplomatici e polizie segrete, tra l’arguzia e la satira, per colpire l’America razzista di Trump e il suo favorire il riscaldamento globale. Il trionfo della reciprocità dei contatti umani avviene entro l’alea di questo delicato ed eroico idillio. La scioltezza della sceneggiatura e l’originalità della scenografia ottengono il loro trionfo a Venezia.

Nel film“The Insult” del regista libanese Ziad Doueir i contrasti si appianano tramite un unico punto di incontro :”la sofferenza” che tutti purifica e accomuna. La lite tra un palestinese e un libanese diventa la metafora dei pregiudizi e delle liti mai sopite dei loro due popoli. In un film lodevole ma non ottimo,l’attore Kamel el Basha interpreta con incisività l’atmosfera conturbante che regna in città, cercando l’equilibrio tra la saggezza e il calore razzista del suo popolo. Per questa sua ottima esibizione LA GIURIA LO PREMIA CON LA COPPA VOLPI PER IL MIGLIOR ATTORE del Festival Internazionale Cinematografico di Venezia.

Giacomo Botteri e Farida Monduzzi

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