Ormai è quasi un coro. Da alcuni mesi si ripete l’auspicio di una difesa comune europea. Lo fa la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen preannunciando la nomina di un Commissario alla Difesa nella ormai imminente prossima legislatura. La chiede ad alta voce Mario Draghi che nella sua veste di relatore sul futuro dell’economia europea propone di orientare il prossimo bilancio dell’UE verso una difesa comune alla luce del profondo sconvolgimento dei rapporti internazionali dopo l’inizio della guerra russa contro l’Ucraina. Ne parla ormai apertamente anche Emmanuel Macron che arriva anche a prefigurare la presenza di militari dell’Unione sul terreno di guerra dell’Ucraina (i cosiddetti “boots on the ground”). E ci spinge ancora di più a pensarci il possibile, temuto ritorno di Donald Trump alla presidenza Usa allorquando suggerisce a Putin di fare quello che “diavolo vuole” con i paesi europei della Nato che ancora non hanno raggiunto il 2% del Pil nazionale come contributo alla difesa transatlantica. Forse il candidato Trump non si rende conto che la minaccia vale anche per il nostro paese che raggiunge a malapena l’1,7%!
Ma a parte le deprecabili sparate di Trump è bene guardare ai fatti senza i paraocchi di posizioni ideologicamente pacifiste che finiscono per sottostimare i rischi che noi europei occidentali stiamo realmente correndo. Nella recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza il pensiero dominante fra i delegati si sostanziava nella fine dei tempi pacifici in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.
Nelle sale della Conferenza dell’hotel Bayerische Hof nella capitale della Baviera si percepiva anche il fantasma dell’autoritarismo hitleriano e dell’appeasement europeo dell’epoca, che cedendo alle pretese del Führer sui Sudeti aveva dato l’avvio al grande conflitto mondiale. Errore da non ripetere con l’imperialismo putiniano che attraverso la guerra contro Kyiv sta testando la capacità e la fermezza europea nel resistere all’espansione dell’influenza del Cremlino non solo in Europa occidentale, ma anche nel Caucaso del Sud e nei Balcani.
Di fronte a questa prospettiva geopolitica l’ex ministro degli esteri di Berlino Joschka Fischer, reputata mente pensante nel mondo politico tedesco, ha efficacemente affermato che “il ritorno della guerra sul nostro continente pone la sicurezza al centro e davanti a tutto”. Già, ma quale tipo di sicurezza? Gli europei e la stessa Unione pensavano che il trasferimento di armamenti più o meno sofisticati all’Ucraina fosse più che sufficiente per contenere le pretese russe. Questi calcoli si stanno rivelando effimeri per il semplice motivo che la guerra di Mosca non è solo contro l’Ucraina ma è un aperto confronto fra una dittatura ed un’Europa che ancora rimane democratica e costituisce un baluardo di valori contro l’autoritarismo dilagante nell’est del continente e in gran parte del mondo. In altre parole, quella ucraina è una guerra dichiarata contro la democrazia ed è ad essa che l’Europa deve rispondere.
Perché questa urgente percezione di insicurezza sia affrontata nel modo opportuno non basta che siano i singoli paesi membri dell’UE a farsene carico, ma che invece la risposta e le possibili contromisure siano il più unitarie possibili. Di qui l’auspicio di una difesa europea. Un disegno che, come ben sappiamo, affonda le sue radici nella nascita stessa dell’UE nel lontano 1952 con il varo di un disegno vero e proprio di esercito comune che mettesse assieme militari di Francia, Germania, Italia e dei tre paesi del Benelux per dare poi vita ad un governo politico europeo che guidasse la difesa comune. Proposta prematura poiché far convivere assieme francesi e tedeschi a pochi anni dalla fine della guerra era un sogno quasi impossibile.
È solo in tempi più recenti che alcune iniziative comuni sono state intraprese a livello di UE. Il tutto è iniziato nel 2001 dopo il grande sconvolgimento dell’attacco alle due Torri. Così gradualmente sono nate le missioni civili e militari dell’UE, si è dato vita ad un Fondo Europeo della Difesa di 8 modestissimi miliardi di euro spalmati su 7 anni, ben lontano quindi dal servire seriamente (si pensi che quello annuale dell’Italia è di 33,5 miliardi). Così pure l’80% degli appalti pubblici all’industria della difesa rimangono nazionali. Data l’urgenza dettata dalla minaccia russa ciascun paese ha quindi deciso di agire per proprio conto. La Germania ha concesso alla Bundeswehr ben 100 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi e ha contribuito con 17,7 miliardi all’acquisto di armamenti per Kyiv, seconda solo dopo gli Usa.
Recentemente i principali paesi dell’Unione hanno sottoscritto accordi di difesa bilaterali con Kyiv, inseguiti a fatica dalla Commissione europea che ha usato i pochi fondi comuni a disposizione per aiutare l’Ucraina anche militarmente.
È abbastanza evidente come questo attivismo nazionale non ci porti molto lontano sulla strada di una vera difesa comune. Anzi, data la diversa forza finanziaria nazionale, questa tendenza ad aumentare le spese della difesa non fa altro che accrescere le sperequazioni fra i paesi membri. Duplicazioni, sprechi e obiettivi divergenti ci portano verso la frammentazione degli obiettivi di sicurezza. Eppure, i 27 stati membri nel loro insieme si collocano al terzo posto nel mondo subito dopo Usa e Cina in quanto a spese complessive per la difesa. Ma dal punto di vista della loro credibilità ed efficienza sono ben lontani dal costituire un attore unitario. La strada verso la difesa europea è quindi ancora lunga e neppure la crisi ucraina sembra averla davvero facilitata.
Fallire ancora una volta questo obiettivo significa arrendersi ai voleri di Vladimir Putin che dal crollo dell’integrazione europea e dall’affievolirsi della nostra democrazia ne trarrà immenso vantaggio.
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