“E com’è andata la manifestazione?”. è la classica domanda dei genitori ai figli adolescenti per capire come han vissuto “in piazza” quella prima prova di protesta (e di partecipazione). Un test di educazione civica, che però a Pisa venerdì scorso è stata una pessima lezione.
La carica della polizia in assetto antisommossa per arrestare in un vicolo stretto il pacifico corteo che invocava “Palestina libera” ha lasciato alcuni studenti a terra e molti volti insanguinati; una scena di repressione, immortalata in un video virale e poi visualizzata da migliaia di altri coetanei. Che lezione ne avranno tratto?
“Con i ragazzi i manganelli esprimono il fallimento”, il commento del Presidente della Repubblica espresso in una telefonata al Ministro degli Interni e quindi comunicata in questa nota alla stampa: “L’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”. La gravità dell’episodio – con un evidente sproporzione tra il metodo usato e il buonsenso con cui si sarebbe potuto gestire lo svolgimento della marcia di protesta, ancorché non autorizzata – è evidenziata dall’insolito “richiamo” scritto usato da Mattarella, il quale il giorno prima – a conferma della sua preoccupazione super partes – aveva stigmatizzato anche troppa violenza nella contrapposizione partitica (in relazione al rogo di alcuni manichini raffiguranti la premier Meloni).
Fra i tanti “distinguo” del giorno dopo merita sottolineare la sincerità “da cittadino e genitore” di Michele Conti, sindaco a Pisa per il centro destra: “Chiunque deve essere libero di manifestare il pensiero”, ha detto. Così come il richiamo severo di quattro rettori toscani all’articolo 21 della Costituzione che avvicina in un’alleanza educativa la scuola superiore al mondo universitario.
Una democrazia liberale dimostra la sua vitalità anche dalla capacità di lasciar esprimere e accogliere contestazioni (altrimenti poi le conseguenze eversive possono essere gravi, come ci insegna la storia italiana contemporanea), applicando con il buon senso il rispetto delle regole. E se è vero che in quel corteo c’era anche qualche adulto dal volto coperto e dagli slogan offensivi (da individuare e sanzionare) – come ci han riferito alcuni colleghi dei settimanali toscani – la stragrande maggioranza era formata da ragazzi delle superiori con le mani alzate, senza alcuna intenzione di prendersela con i “pulotti”.
La brutta lezione arrivata nelle scuole e nelle famiglie italiane da quel video insanguinato sta anche nel favorire un giudizio pregiudizialmente negativo sulle forze dell’ordine: se qualche operatore in divisa con il casco “ha commesso qualche errore o qualche omissione nella gestione dei fatti” (come ha ammesso il Capo della polizia) si dovrà individuare e punire in base agli accertamenti già disposti. Sarebbe però socialmente e pedagogicamente dannoso che venisse meno la fiducia delle nuove generazioni in poliziotti e carabinieri. Proprio che in tanti altri contesti – si pensi agli stadi o alla criminalità organizzata – proteggono gli stessi giovani dalla violenza o dall’illegalità, esponendosi ogni giorno al rischio della vita. Se l’altro giorno a Pisa con l’azione violenta “si è oltrepassato il confine (più sottile di quanto si possa pensare) che separa lo stato di diritto dallo stato di polizia”, secondo l’analisi acuta di Danilo Paolini su Avvenire , dobbiamo augurarci che questa brutta lezione di educazione civica non abbia ancora a ripetersi nelle prossime manifestazioni di piazza
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