Ricordare il centenario della nascita di Bruno Kessler (Peio, 17 febbraio 1924 – Trento, 19 marzo 1991) può essere l’occasione per una parziale riflessione sulla realtà politica di oggi, con tutti i suoi interrogativi. Impossibile tentare un confronto con il periodo in cui ha vissuto Kessler.
Sono troppe le diversità (la qualità della classe politica, il venir meno dei partiti come vivai di formazione alla cittadinanza, l’indebolimento delle forze sociali nel favorire la partecipazione, il contesto internazionale sempre più bellicoso, lo stesso ruolo della Chiesa alle prese con i segnali di una società frammentata…), eppure l’esperienza di Bruno Kessler ci invita a guardare al “metodo”, a “come” affrontare questa grande fase di cambiamento, come è stata la sua nei primi anni del secondo dopoguerra.
Il primo aspetto da sottolineare è quello delle ragioni profonde dell’impegno politico, che in quegli anni per i cattolici non poteva che fondarsi sul concetto di servizio alla comunità. Nel programma di legislatura 1961-64 Bruno Kessler diceva ai consiglieri provinciali: “Lasciate che vi dica chiaramente una cosa, anche perché mi conosciate meglio; io non sono erede né di grandi antenati, né di grandi letterati, né di uomini di grande cultura, sono figlio di umilissima gente, mio padre era un operaio e la forza che pongo nelle mie impostazioni non mi deriva da risorse culturali molto fini o molto radicate nei miei antenati, ma dall’ambiente nel quale sono vissuto, nel quale mi sento profondamente legato e dall’insegnamento che la gente modesta mi ha dato. Tale insegnamento mi dice che ho il dovere sacrosanto di fare ogni sforzo per cercare di migliorarla questa nostra gente, perché migliorarla significa meglio attrezzarla sul piano spirituale, perché essa ha in sé una forza naturale e potente che sarà senza dubbio elemento determinante del potenziamento di tutta la nostra collettività”.
Una lezione da tornare a leggere, scrutare ed esplorare. Non possono essere solo le ragioni di ieri a fondare l’impegno politico, ma quelle di oggi (pace, sostenibilità, trasparenza, ambiente, immigrazione…) vanno ripensate e approfondite. Rimane urgente l’attenzione alle necessità della persona, non solo quelle materiali, ma anche quelle spirituali. E l’alimentazione culturale, per Kessler, era la leva per una parallela crescita spirituale. Per questo ha promosso le scuole professionali nelle valli, ha spinto per creare l’Università e gli istituti di ricerca.
Il secondo aspetto, oggi in profonda crisi, è quello legato alla fiducia nei partiti: Kessler li considerava base del sistema democratico. Pur riconoscendone i mille difetti, non ha mai pensato di lasciare la Democrazia Cristiana, anche nei momenti di maggiore difficoltà. Anche quando non le ha condivise e le ha sofferte, ha sempre accettato le decisioni del suo partito. E non ha mai pensato di fondarne di nuovi. Sapeva di dover maturare le scelte decisive solo attraverso il confronto interno e con le altre forze politiche, ne è stato un esemplare protagonista, ne rimane un ispiratore.
Come se fosse possibile garantire un sistema democratico senza partiti, oggi la tendenza è a modificare i delicati equilibri istituzionali su cui si fonda la nostra convivenza e concentrare il potere nelle mani di una singola persona. Ci accorgiamo che già adesso il “capo” domina la vita dei partiti, i cui organi collegiali spesso non si riuniscono più. Si assiste al potere solitario di sindaci, governatori, mentre il premier di turno mostra il suo decisionismo attraverso i decreti. Risultato? Alle ultime elezioni politiche gli astenuti hanno raggiunto il record del 36 per cento (17 milioni di italiani non hanno votato). Non solo, significa anche che l’attuale maggioranza pur avendo incassato il 56 per cento dei seggi rappresenta il 36 per cento dell’elettorato. Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso i votanti raggiungevano il 90 per cento del corpo elettorale. I valori quali la libertà, la responsabilità, la dignità della persona, il diritto al lavoro, la trasparenza della rappresentanza non sono acquisiti una volta per tutte, ogni generazione ha l’obbligo di riconquistarli e di riconiugarli. Una sfida che la generazione di Kessler ha raccolto e vinto.
In contesti radicalmente diversi, oggi la sfida è la stessa: la tenuta della democrazia contro l’indifferenza e la contrapposizione ostile. Perciò gli italiani devono riappropriarsi del tema delle regole, non lasciarlo nelle mani di pochi.
Il terzo e ultimo aspetto è lo stretto binomio “pensiero-azione”. Per Kessler, innovatore originale anche in questo, l’azione concreta era parte integrante dell’elaborazione culturale e progettuale. Sapeva guardare alla complessità della nostra realtà provinciale con le sue caratteristiche singolari. Ma non si rifletteva per ambiti specializzati, c’era la netta consapevolezza delle interdipendenze nella complessità. Si guardava la realtà com’era senza avere la pretesa di giudicarla o cambiarla a forza, puntando invece sull’utilità di un’evoluzione condivisa e plurale. E così, nella cornice dell’autonomia speciale, si è intrecciato un tessuto di crescita, in cui le scelte quali il Piano Urbanistico Provinciale, l’Università, l’Istituto Trentino di Cultura con i suoi centri di ricerca, l’istituzione dei parchi e molte altre hanno dato a questa terra una prospettiva di sviluppo.
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