Nardoni racconta la sua personale relazione con Francesco in uno spettacolo che cercando di capirne l'umanità, svela la nostra
Vivere sull'orlo della vertigine, dando corpo alla gratuità dello spirito. Capire che salvezza e gioia sono doni. Scoprire che amare veramente significa andare oltre ogni ragionevolezza e non c'è regola che possa incanalare un moto dinamico originato dalla semplice e naturale obbedienza alla voce interiore che invita a ricevere il mondo in ogni sua manifestazione.
Con la sua vita, Francesco d'Assisi ha vissuto e testimoniato non "la" chiamata, quella che avrebbe trasformato da un momento all'altro un giovane ricco, dedito a organizzare feste e incamminato sulla via della perdizione, in santo, ma l'inesausta risposta d'amore alle chiamate quotidiane provenienti da ogni persona, elemento naturale, cosa. Immerso totalmente nel flusso senza tempo né spazio di un bene vissuto senza trattenere nulla.
Incalzante, denso, pieno di energia e dolcezza. Poetico, comico, duro, toccante. Lo spettacolo teatrale "Francesco polvere di Dio", promosso dalla Fondazione F.Demarchi nell'ambito delle iniziative culturali dell'Università della terza età e del tempo disponibile, andato in scena nell'aula magna della Fondazione domenica 10 aprile a Trento, ha bissato il successo della sera prima al Convento dei frati cappuccini di Terzolas, offrendo una lettura inedita e originale della vita di S. Francesco, frutto dell'approfondita ricerca storiografica di Riccardo Nardoni. "È una storia che riguarda le nostre vite, io faccio semplicemente da tramite", ha detto l'autore – anche regista – in apertura dopo il saluto del presidente Piergiorgio Reggio.
Pur cresciuto in ambienti lontani dalla Chiesa e dalla cultura cattolica, l’attore, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, si è cimentato in un lavoro teatrale sulla storia di un uomo che ha incarnato un messaggio rivoluzionario, ispirato a valori di povertà e fraternità universale, e dal 2013, anno del debutto, la “riflessione-rappresentazione” ha già avuto 30 repliche in varie parti d’Italia, riscuotendo gli apprezzamenti della critica e riuscendo, per scelta, a vivere grazie alla generosità e al passaparola del pubblico.
Accompagnato alla chitarra da Paolo Ceccarelli, autore di musiche scritte appositamente per lo spettacolo, e al canto da Cristina Calandrini, Nardoni ha ripercorso in due ore e mezza non tanto la favola di un santo che rischia di diventare lontano ideale di perfezione ma la storia di un uomo in carne e ossa, uno di noi. Un uomo vissuto 800 anni fa, ma capace di parlare ancora al cuore dell'uomo contemporaneo perché Francesco è testimone privilegiato di quanto bene e male convivano nella stessa persona e di quanto sia decisivo non giudicare visto che "non ci può essere separazione netta tra il virtuoso e il vizioso".
Alternando passato e presente, e riferendosi alla quotidiana esperienza di limiti, paure, dolori e malattie, dimensioni che svelano chi è veramente l'essere umano, Nardoni ha modulato con maestria una voce che si è fatta tenero canto, racconto vivace, grido prorompente, narrazione confidenziale della sua vita privata, domanda provocatoria, riempiendo con la sua espressività uno spazio scenico ridotto all'essenziale.
Attraverso quello che egli stesso ha definito "non-spettacolo", è la voce di Francesco a rivolgersi all'uomo di oggi interrogandolo ed è la vita di un giovane sprofondato nel peccato a svelare che proprio lì, in quell'esperienza infernale, si sente amato da un Dio che non gli viene incontro dall'alto del cielo ma emergendo dalla terra sulla quale cammina. "Francesco è il santo del presente, dell'eterno che è ora, dentro al tempo dilatato del mio quotidiano, quando smetto di pensare a organizzarmi e mi lascio trasportare dalla passione, traducendola in azione immediata e andando incontro agli altri con gioia, senza giudicarli, perché in loro riconosco me stesso".
Non esiste la formula della gioia e dare una regola, come gli aveva chiesto il Papa, è un'idea sterile mentre Francesco "desiderava distruggere ogni vincolo che trattenesse dalla voglia di accogliere l'altro e perdersi in esso, sperimentando un amore sconfinato".
E dunque cos'è la gioia? "Non essere mai più a casa propria, ma fuori, nel mondo, come nel vento di Dio, libero da catene. Francesco ci ha detto infatti che l'amore è ovunque – ha concluso Nardoni -, pure nella morte, anch'essa lodata nel Cantico delle creature, sparso in ogni cosa, simile all'acqua".
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