I tragici fatti di Parigi hanno evidenziato ancora una volta come il rapporto che lega le persone fra loro, lo scorrere delle notizie e l’emotività collettiva siano irreversibilmente cambiati con la diffusione dei social network.
Facebook, che proprio recentemente ha annunciato di aver raggiunto il traguardo del miliardo di visite giornaliere, la sera della strage ha attivato il servizio “Stai bene” (www.facebook.com/about/safetycheck) con il quale è stato possibile – per coloro che erano nelle vicinanze dell’area parigina – far sapere agli amici che si stava bene. Una connessione informativa diretta e veloce, come è nel paradigma del social, senza mediazione o latenza alcuna di un approccio classico all’emergenza. Un aiuto importante che ha permesso di indirizzare nel migliore dei modi le ricerche delle persone nelle ore successive agli attentati.
Twitter è stato invece, com’è ormai consuetudine, importante per seguire i fatti e si è dimostrato ancora una volta un formidabile strumento di informazione: l’hashtag #ParisAttack ha raccolto sia i post di update delle testate giornalistiche che i post di coloro che vivevano in prima persona la terribile notte.
Sono però i post (o, purtroppo, i non-post) delle persone normali ad aver lasciato un segno indelebile. Benjamin Cazenoves su Facebook comunicava alle 23 del 13 novembre di essere ancora dentro al Bataclan con altre persone vive ma ferite: un’informazione importante per i familiari e gli amici, ma soprattutto per le forze dell’ordine che, grazie a questo post e ad altri come questo, hanno potuto gestire al meglio il blitz. Nei giorni successivi all’attentato molti post e molte immagini sono diventate virali ed hanno contribuito a comprendere ed elaborare i drammatici eventi: dalla donna incinta appesa alla finestra del Bataclan che è riuscita con Twitter a ritrovare l’uomo che l’ha salvata, alla giovane Isobel Bowdey che su Facebook ha postato la foto della sua maglietta sporca di sangue e il racconto di come – fingendosi morta – sia riuscita a salvarsi. Antoine Leiris, 34 anni e papà di un bimbo di 17 mesi, ha perso la compagna Hélène ed ha pubblicato su Facebook (www.facebook.com/antoine.leiris) una significativa lettera aperta ai terroristi dal titolo “Non avrai il mio odio” che è diventata il manifesto di come si possa affrontare il terrore senza cedere alla paura.
Non sono mancati – come sempre – gli sciacalli e coloro che hanno approfittato del mezzo social per amplificare le proprie idee estremiste. Ancora una volta emerge come necessario saper discernere la qualità delle notizie che si sceglie di condividere. Ad esempio: negli ultimi giorni molti si chiedono perché si parli tanto degli attentati di Parigi e non della notizia della strage di 147 persone operata da al Shabaab in un campus universitario Kenyota; la tesi è che per gli occidentali esistano stragi di serie A e di serie B. La verità è che i fatti in Kenya, ancor oggi da condannare, risalgono ad aprile.
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