Il pubblico ha giudicato “Senza aria”, della rumena Katalin Moldovai, il miglior lungometraggio a soggetto della 35a edizione del Trieste Film Festival organizzato da Alpe Adria Cinema e conclusosi nei giorni scorsi nel capoluogo giuliano.
Ispirandosi ad un fatto di cronaca, il film racconta la storia di un’insegnante di letteratura che si trova nei guai, ed è un eufemismo, per aver consigliato ai propri studenti, al fine di inquadrare la figura di Arthur Rimbaud, la visione di “Poeti dall’inferno” della regista polacca Agnieszka Holland (premio speciale della giuria all’ultima Mostra di Venezia per “Green Border”). I riferimenti all’omosessualità del poeta non piacciono ad un genitore che mette in atto un meccanismo di vero e proprio ostracismo nei confronti della prof. “Il reclamo del padre di uno studente ha innescato in me domande profonde”, ha sottolineato la regista. Tra queste: “Come è possibile che la vita di una persona venga completamente sconvolta senza un motivo valido?”.
“Senza aria” è diretto magistralmente, segue un percorso lineare, realistico. Risulta essere una denuncia sul rapporto a volte “malato” tra docenti e genitori in cui il principio di autorità spesso è in capo ai secondi in una sorta di ribaltamento dei ruoli dove le vittime, alla fin fine, sono i ragazzi (anche se non solo).
In questo festival del cinema dell’Europa centro orientale di assoluto valore, di ben altro tenore la decisione della giuria ufficiale che ha premiato “Stepne”, opera prima dell’ucraina Maryna Vroda, già miglior regia a Locarno. Ritratto di una comunità di un villaggio ucraino, dai toni vagamente olmiani senza averne la forza poetica, risulta un lavoro dalla direzione piuttosto convenzionale per quanto curata. Semmai, la fotografia, durante il momento conviviale dopo il funerale, attorno ad un tavolo, a seguito della morte dell’anziana madre del protagonista, è capace di trasmettere la realtà di un mondo rurale sulla via della scomparsa.
Grazie ad un progetto del Tff alcuni film visti a Trieste gireranno l’Italia, chissà mai se anche a Trento e dintorni. Tra questi, “Hotel Pula” del croato Andrej Korovljev. Storia d’amore tra un profugo bosniaco rifugiato a Pola e una ragazza istriana: quando la guerra, quella di smembramento della Jugoslavia, non finisce mai, soprattutto dentro di sé. Ma anche “Succo di ciliegia” della bosniaca Mersiha Husagic. Fine d’anno a Sarajevo, nel dopoguerra, tra una giovane aspirante regista e un attore tedesco.
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