4 febbraio 2024 – Domenica V Tempo Ordinario B
Gb 7,1-4.6-7; 1Cor 9,16 19.22-23; Mc 1,29-39
«Ricordati che un soffio è la mia vita». Gb 7,7
L’esperienza della fragilità ci accomuna tutti quanti. E scopriamo che il Vangelo è una notizia bella e buona per noi proprio perché ci racconta il fatto che il Figlio di Dio prende su di sé “la vera carne della nostra umanità e fragilità” (S. Francesco, Lettera ai Fedeli II, 4: FF 181). Nelle letture di questa domenica questi due temi si intrecciano, quello della malattia/fragilità/debolezza umana e quello dell’annuncio del vangelo. Giobbe ci presenta la situazione di chi si rivolge a Dio perché oppresso da una grave malattia. Il brano tratto dalla prima lettera ai Corinzi, è un’accorata autodifesa che l’apostolo Paolo fa del proprio stile di evangelizzatore nella debolezza.
Già le letture della scorsa settimana ci avevano aiutato a comprendere che il profeta, colui che parla a nome di Dio, è un autentico inviato di Dio solo se le opere che compie confermano le parole che annuncia. Nel brano evangelico Gesù rovescia questa successione: prima fa qualcosa di concreto e soltanto dopo parla. Il brano è molto suggestivo e presenta una fotografia di Cafarnao, con la sua sinagoga e a pochi metri di distanza la casa di Pietro, che – a pochi passi dalla riva del Lago di Galilea – è il luogo concreto dove Gesù guarisce, caccia i demoni e poi insegna. Gesù si presenta quindi potente prima in opere e poi in parole, quasi a sottolineare che parlare è facile, ma per operare in un certo modo occorre essere mandati da Dio. Il vangelo di Marco presenta anche la giornata tipo di Gesù, nella quale egli trova il tempo per curare, pregare e annunciare il vangelo. Tutto questo ha in realtà a che fare con il suo «dovere» di predicare.
Il brano evangelico ci aiuta a cogliere anche un altro aspetto: Gesù si occupa degli ammalati in modo personale (viene ricordata la suocera di Pietro) ed al tempo stesso si prende cura di molti ammalati e di molti mali (Marco dice: «gli portavano tutti gli ammalati e gli indemoniati»). Gesù sembra venire incontro in modo estremamente personale all’invocazione di ogni persona inchiodata alla croce della malattia, della solitudine, della vecchiaia o del non senso: «Ricordati che un soffio è la mia vita» aveva detto Giobbe. Quanta distanza dall’anonimato di un’assistenza sanitaria che riduce i pazienti a numeri. Quanta distanza dall’ingiustizia di un’assistenza sanitaria che è garantita ai ricchi ma non ugualmente ai poveri. Quanta distanza anche da una mentalità che vuol curare le malattie anziché i malati, cioè le persone.
L’apostolo Paolo, infine, riflettendo sulla propria esperienza, ci aiuta a comprendere lo stile dell’annuncio nella logica dell’incarnazione e della solidarietà: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io». Il primo ad esprimere questa solidarietà esistenziale è stato certamente Gesù stesso, ma nella sua linea si dovrebbe collocare la testimonianza di ognuno di noi.
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