Questo è l’anno della doppia ricorrenza: il centenario della nascita e il trentennale della morte; ma perché una rivista come «Cabiria – Studi di Cinema» – rivista del CINIT, Cineforum Italiano – si occupi di Orson Welles a dire il vero non ci sarebbe bisogno di anniversari. I suoi meriti nell’ambito cinematografico sono noti a tutti e non si finirà mai di parlarne e di indagare sui mille rivoli delle sue attività ancora sconosciuti o trascurati. E la presentazione a Venezia di due film shakespeariani restaurati, Il mercante di Venezia e Otello, di cui il primo considerato perduto, è solo un’ulteriore occasione per tornare a parlare del genio.
Un genio che in Italia non fu inizialmente molto amato. Dopo la guerra quando i suoi film cominciarono a essere distribuiti da noi e soprattutto lui stesso scelse il nostro paese come patria di elezione, le reazioni della critica e della stampa specializzata furono sospettose, fredde, quando non sprezzanti. E anche il pubblico italiano non amò né il personaggio pubblico, né i suoi istrionici personaggi sullo schermo. Nel 1947 Welles era principalmente il marito separato da Rita Hayworth (lei, sì, amata dalle folle), e sui rotocalchi si ironizzava sulla sua love story con Lea Padovani. Inoltre il film che si diceva avesse fatto tremare Hollywood, cioè Citizen Kane (1941), arriverà sui nostri schermi doppiato solo nel 1949, con il titolo, ormai celeberrimo anch’esso, Quarto potere, mettendo in evidenza la tematica massmediale legata al potere della stampa più che alla parabola di un personaggio emblematico. Anche lì l’accoglienza critica fu fredda: si vedevano i soffitti, si usava il grandangolo come obiettivo base, si eccedeva nei barocchismi, nella gigioneria recitativa… In poche parole, quello che ancor oggi è ritenuto il film più importante della storia del cinema, da noi fu liquidato come il velleitario tentativo di un ragazzo terribile che aveva acquistato fama solo spaventando i rozzi americani con una finta invasione aliena per radio.
In quel clima ostile, però, Welles non si scoraggiò e cominciò a lavorare al suo Otello tutto italiano, prodotto dalla Scalera Film, con attori e tecnici nostrani. La lavorazione durò quattro anni, fu fonte di leggende e comportò cambi di interpreti, set, compagne e aiutanti. Tra questi c’era Mary Alcaide, cui è dedicato il primo saggio di «Cabiria» n. 180, disponibile dalla metà di settembre. Il saggio dell’esperto wellesiano Alberto Anile ci offre un ritratto di questa ragazza gentile che all’epoca affiancò il maestro in quanto conosceva bene l’inglese e gli fece da segretaria tuttofare. Scopriamo così ulteriori curiosità sulla lavorazione di un film che poi riceverà finalmente un sacrosanto primo premio al Festival di Cannes del 1952. Altri due saggi, a cura di Davide Zordan e Marco Vanelli, riguardano due commedie che Welles scrisse (una la mise anche in scena a Parigi) proprio durante la gestazione travagliata di Otello. Sono del tutto dimenticate e, a tutt’oggi, ne è rimasta solo la traduzione francese. Il contatto con due personaggi importanti (seppur per motivi ben diversi) quali Charlie Chaplin e Lucky Luciano è al centro di altri due contributi (rispettivamente di Massimo Tria e nuovamente di Anile) offerti dalla rivista: la controversia di Welles con il creatore di Charlot a proposito del suo film della svolta, Monsieur Verdoux, con tanto di documenti poco noti alla mano, circa la paternità del soggetto, e l’avvicinamento del regista da parte del noto boss mafioso italoamericano perché la sua vita fosse raccontata sullo schermo (lo sarà, ma molti anni dopo da parte di Francesco Rosi). Infine la testimonianza dello storico del cinema Carlo Montanaro che alla fine degli anni Sessanta partecipò in qualità di comparsa alla realizzazione del tanto atteso Mercante di Venezia. A completare il quadro su Welles, troviamo anche curiosità, fumetti, poster, nonché una bibliografia recente sul regista e una panoramica sul suo rapporto con la musica leggera.
Marco Vanelli
direttore Cabiria
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