In un mondo che va alla deriva, ci sono semi di speranza che vanno coltivati. Soprattutto quando la deriva del mondo, ad esempio la terza guerra mondiale a pezzi, rischia di soffocarne la vitalità e la forza. È il caso del Burkina Faso, Paese dell’Africa Occidentale caratterizzato finora da esperienze belle e durature di dialogo interculturale e interreligioso, minacciate oggi dalla violenza di gruppi radicalizzati che seminano morte soprattutto nella regione del Sahel.
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese in Austria (ÖRKÖ), in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, sostiene un programma di sviluppo dell’Unione Fraterna dei Credenti (Union Fraternelle des Croyants, UFC) di Dori, cittadina del Nord del Burkina Faso.
L’Unione fraterna non è un’organizzazione qualsiasi. È una realtà interreligiosa e interconfessionale nata nel lontano 1969 dall’intuizione di padre Lucien Bidaud, un religioso francese che fin dai primi anni dopo la sua ordinazione si era consacrato agli ultimi, prima nelle periferie di Parigi, poi in Burkina Faso. Già in Francia si era confrontato con persone di fede islamica e ora, in una parrocchia dell’ex Alto Volta grande come il Belgio (ma con poche centinaia di cristiani), aveva trovato il luogo dove mettere a frutto questo talento.
1969, anno di carestia. Padre Bidaud decise di radunare un gruppo di dodici volontari, sei cristiani e sei musulmani. Obiettivo immediato: gestire insieme l’emergenza della fame e la distribuzione degli aiuti umanitari. Ma lavorare insieme, avere un obiettivo comune per il bene degli altri fu l’esperienza di vita dalla quale nacque l’esigenza di costituire quell’Unione Fraterna che ancora oggi, presieduta insieme dal vescovo e dal grande imam di Dori, opera nella regione del Sahel e in tutto il Paese. Realizza progetti nell’ambito della promozione umana, dell’educazione alla pace, del dialogo interreligioso.
Cristiani e musulmani, nell’Unione Fraterna, dialogano, progettano, agiscono insieme per dare alla popolazione un’alimentazione sana, per promuovere un’agricoltura sostenibile, la riforestazione delle zone soggette a desertificazione e la raccolta dell’acqua con lo scavo di pozzi, con trivellazioni e con la creazione di bacini artificiali.
Anche oggi i cambiamenti climatici causano siccità. D’altra parte invece piogge improvvise e abbondanti inondano la regione. Questa situazione determina condizioni in cui è difficile avere quanto necessario per vivere. Soprattutto in Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri del mondo, e nella regione del Sahel, terra semiarida che fa da sponda meridionale al deserto vero e proprio, il Sahara.
La popolazione della diocesi di Dori, che si estende nel Sahel, soffre inoltre a causa delle azioni criminali di gruppi terroristici e di estremisti violenti che si infiltrano dai Paesi confinanti – Mali e Niger – e attaccano i civili e le forze di sicurezza, con l’idea di compromettere la pacifica convivenza tra i popoli e le religioni. Molte persone sono state costrette a sfollare alla ricerca di luoghi più sicuri.
Tra le opere tipiche dell’Unione Fraterna i bacini per l’acqua piovana (boulis), realizzati possibilmente uno per villaggio. In essi si accumula l’acqua durante la stagione delle piogge, che dura pochi mesi. Le famiglie piantano orti intorno ai laghetti in modo da avere di che nutrirsi durante la lunga stagione secca. Nei bacini si allevano anche pesci. Una parte di questi prodotti può essere commercializzata, così si genera un piccolo reddito. Una piccola economia virtuosa e sostenibile.
Per la costruzione e la manutenzione dei “boulis”, l’UFC dispone di macchinari pesanti e di personale specializzato. Tutto questo ha dei costi che in parte potranno essere coperti con le offerte provenienti quest’anno dall’Austria.
“La situazione è drammatica”, spiega François Paul Ramdé, direttore generale dell’UFC: “La gente lascia i propri villaggi per paura. Chi se ne va lascia i propri beni e la propria sicurezza economica. Tutto ciò ha immense conseguenze psicologiche.
Tornano la paura e la sfiducia. Le persone non sanno più di chi possono o non possono fidarsi”. Ma è proprio per questo che l’UFC vuole continuare il suo lavoro. Ricostruire fiducia. Di villaggio in villaggio. L’amicizia internazionale che li sostiene è elemento costitutivo del messaggio di speranza che riescono a dare al mondo intero (e di cui il mondo ha estremo bisogno).
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