“È doloroso constatare che ancora oggi siamo testimoni di un altro femminicidio. La morte di Ester Palmieri ci impone di riflettere profondamente su come definiamo e affrontiamo questi orrori. Non possiamo più permetterci di restare in silenzio, dobbiamo alzare la voce contro la violenza di genere”. A scriverlo, in una lettera, è l’Ordine degli Assistenti Sociali del Trentino Alto Adige, che prende la parola dopo l’ennesimo femminicidio avvenuto in Trentino: quello di Ester Palmieri, 37 anni, di Valfloriana, uccisa dall’ex compagno Igor Moser, che poi si è tolto la vita.
Il primo passo, secondo gli assistenti sociali, è saper scegliere le parole giuste. “L’utilizzo delle parole giuste è il primo passo per sensibilizzare la società e combattere questa piaga. Perché in questi giorni ne abbiamo letto fin troppe che fanno rabbrividire e che non mettono a fuoco una semplice questione. Non siamo di fronte a un affare privato, ma a un fenomeno sociale allarmante, pericoloso che richiede provvedimenti mirati e urgenti”.
Poi un passaggio sull’esperienza di chi svolge il lavoro di assistente sociale, che alcune volte si trova a contatto con vissuti di violenza. “È nostra esperienza come assistenti sociali, che una donna può esitare nel denunciare la violenza per diverse ragioni. Spesso ha paura di ritorsioni, di quello che penserà la gente, della dipendenza economica o della mancanza di supporto. Anche la vergogna e purtroppo la mancanza di fiducia nelle istituzioni possono giocare un triste ruolo”.
Non basta, secondo gli assistenti sociali, reprimere la violenza dopo che questa è accaduta. “Dal nostro osservatorio che è quello dove i fenomeni nascono, esistono e accadono, abbiamo maturato la convinzione che la violenza alle donne non si affronta solo con la logica della repressione (ndr il disegno di legge proposto dal Governo per il rafforzamento delle misure di ammonimento), ma potenziando le risorse umane, finanziarie e strumentali per interventi e prevenzione. La repressione certo potrebbe scoraggiare alcuni aggressori, ma non affronta le cause profonde del problema che hanno radici in dinamiche complesse di potere, controllo e disuguaglianza di genere. E non affronta le conseguenze. Il femminicidio, lo ripetiamo, è un problema sociale e di salute pubblica perché le conseguenze per i figli, gli orfani dei femminicidi, le famiglie della vittima e di chi ha commesso il reato, la comunità, sono enormi”.
Questo è il momento di agire sulla cultura. “Creiamo una cultura del rispetto che incoraggi le donne a parlare, a non avere paura e a sentirsi libere e veramente protette e lavoriamo anche sullo stigma del rivolgersi ai servizi. Noi assistenti sociali, più di tutti, sappiamo come ci sono episodi che possono mettere in crisi chiunque. La separazione è uno di questi. Ma farsi aiutare non è sintomo di debolezza, ma di crescita”, concludono gli assistenti sociali.
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