Se la commedia scopre Dio

L’efficace duetto di Marco Giallini e Alessandro Gassman segna il sorprendente esordio alla regia dello sceneggiatore Edoardo Falcone. Se Dio vuole: c’è scritto sulla locandina, con l’immagine dei noti protagonisti che si osservano beffardi, accampati sulle ampie e variopinte lettere che attestano il tema. Il titolo riprende un modo di dire abituale, com’è tipico per le commedie. Ma siamo davvero di fronte a una commedia? Certo si ride volentieri, più volte e con gusto, ma qualche dubbio resta («come un sorriso che dura un minuto», canterà De Gregori alla fine del film) e lascia uno spazio per interrogarci, cosa non scontata, oggi, in una commedia di successo.

Tornando al titolo, la frase convenzionale (che nacque e si divulgò in una cultura impregnata di fede) qui è presa alla lettera: quel “se” introduce una formulazione condizionale e dubitativa con la quale suggerisce l’incertezza su Dio, la sua presenza, il suo agire tra noi. Il “se” si estende , però, anche a tutto ciò che riguarda il modo di confrontarsi con la religione e il cristianesimo. La vicenda di fondo è in effetti quella di un cammino di “vocazione” del protagonista, il chirurgo affermato Tommaso (nomen omen), in seguito all'annuncio choc del figlio di voler diventare prete e all'incontro con don Pietro, eccentrico prete di frontiera.

Da un lato, la parabola di Tommaso ricorda l’interessante fenomeno, apparso in film soprattutto francesi, dei recommençants, o “ricomincianti”: persone adulte equilibrate, soddisfatte e poco vulnerabili, che riscoprono irrazionalmente la religione e la fede. Tommaso al contrario è un miscredente incallito (secondo le necessarie forzature della commedia), e anche nel suo caso non ci sono veri motivi per comprendere il suo processo di maturazione e di porsi domande.

Con uno sguardo critico molti osserveranno i limiti del film, recitato mediocremente e troppo parlato. La trama è però ben scritta, arguta e con efficaci sorprese. La commedia non graffia, ma è garbata. L’aspetto più interessante sembra il tentativo di “decostruire” l’idea della religione e della Chiesa, ridotte a un cliché che in fondo è utile per chi preferisce starne alla larga. Ma dopo la decostruzione si mostra la fatica per ricostruire: lo suggerisce l’immagine della piccola chiesa riparata e restaurata (richiamo francescano) dai due protagonisti, e in fondo è anche, per Tommaso, l’unico modo di pregare, per chiedere un miracolo a cui non crede.

Insomma più che parlare di una “conversione”, di una direzione netta e perentoria, il film invita a pensare alla costruzione del sé, alla possibilità di modificare il modo di confrontarsi con la fede e la religione, superando convenzioni e preconcetti in maniera inaspettata, casuale, a volte drammatica. E ci invita a osservare i cambiamenti possibili anche per la religione, che incontra attese insospettabili e bisogni nascosti.

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