A pochi giorni dal dodicesimo Festival della Famiglia un collaboratore ci ha scritto una lettera molto breve, ma dal tono ultimativo. Diceva testualmente: “Egregio direttore, come saprà da una decina di anni in Trentino i nati sono meno dei morti. L’Adige di ieri rivelava che anche con i matrimoni andiamo male: ‘Nel 2021 ci sono state 1313 celebrazioni e 1577 addii’. Sono temi seri – concludeva la lettera, lanciando una precisa richiesta – e quindi, oltre ad informare, Vita Trentina può indicare ai lettori come prepararsi al crollo?”.
Non si può che ringraziare il lettore per il severo richiamo alla gravità della situazione che è stata definita per le sue conseguenze “l’inferno demografico” dalla ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella nel suo video saluto agli esperti riuniti in questi giorni a Trento.
Peraltro il Festival della Famiglia aveva già messo a tema lo shock demografico quattro anni fa, nell’edizione pre-pandemia del 2019, avanzando in via teorica alcune azioni di contrasto. Negli ultimi anni la consapevolezza di poter “invertire la rotta” appare finalmente trasversale anche nelle piattaforme programmatiche di tutti i partiti politici, se è vero che anche in Trentino non c’era lista nella campagna elettorale dello scorso anno che non inserisse nelle priorità del prossimo quadriennio il riequilibrio demografico. Non è poco, ma evidentemente non basta.
Ha ragione il nostro lettore a non accontentarsi della nostra descrizione della situazione, però la sua richiesta di “prepararsi al crollo” può indurre ad una posizione rassegnata, che istilla passività.
Meglio pensare a “contrastare il crollo”, nella fiducia in uno sguardo provvidenziale sulla storia (“ogni bimbo che nasce è un ponte verso il Cielo”, amava dire papa Giovanni XXIII) ma anche nell’assicurazione statistica che gli stessi demografi ci consegnano con le ultime ricerche. Il più noto di loro in Italia, Alessandro Rosina, ha ribadito proprio lunedì a Trento che “la decrescita demografica può essere invertita anche in tempi brevi”. A suo avviso lo si può fare agendo su due leve fondamentali: migliorare la condizione dei giovani, promuovendone la formazione anche in vista delle richieste delle aziende, e investire sull’occupazione femminile, favorendo la conciliazione famiglia-lavoro. Sono obiettivi di medio termine – evidenziati nel dibattito anche dalle sigle sindacali unite in questa richiesta e dagli stessi rappresentanti degli imprenditori – che possono essere raggiunti potenziando alcune azioni in cui la Provincia di Trento con i suoi Distretti famigliari ha fatto scuola in Italia. E se alcune misure tariffarie o di mera scontistica si sono rivelate insufficienti o di difficile applicazione (perché la platea dei beneficiari è troppo bassa), altre invece conservano un valore aggiunto culturale come il progetto di “coabitazione attiva” varato a Scurelle, di cui ha parlato anche Famiglia Cristiana questa settimana: otto giovani potranno usufruire di un appartamento a basso prezzo in cambio di un servizio a realtà associative della zona. Qualche risultato in Trentino si vede: nell’ultimo decennio le famiglie con tre figli sono aumentate di cinque punti percentuali, “sorpassando” la vicina Provincia di Bolzano. Molto rimane da fare però rispetto alla risorsa fondamentale della casa – lo ha denunciato anche il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza nella settimana di settembre – tanto che lo stesso dirigente dell’Agenzia provinciale per la Coesione Sociale, Luciano Malfer, ha stigmatizzato l’asimmetria tra bisogno di casa e patrimonio immobiliare disabitato.
La buona notizia che rimane sul tavolo della dodicesima edizione del Festival è che il desiderio di “dare la vita” tra i giovani ci sarebbe, anzi è dichiarata nell’indagine curata dalla Fondazione Demarchi (vedi pag. 7). Non è vero quindi che prevalgano chiusure pregiudiziali o ideologiche posizioni del recente passato (“il pianeta è troppo abitato, non facciamo figli)”, ma è evidente che questo sacrosanto desiderio si sgretola di fronte alle impossibilità reali di “metter su famiglia”.
Vi contribuisce indirettamente anche quel fenomeno chiamato “transizione non finita”, che vede i giovani rinviare scelte di autonomia e permanere ancora tra le pareti domestiche. Ma il tema meriterebbe un altro Festival.
Lascia una recensione