Quando, da bambino, andava in visita agli zii don Silvio e don Luigi Benedetti sull’altopiano di Piné, Alberto Bolognani restava sempre colpito da come le persone della comunità andavano a trovare i due parroci, trovando da loro “quella parola di conforto, quella parola del Vangelo che, collocata nel momento giusto della vita, sapeva cogliere nel segno”.
Oggi è lui, ventiseienne di Vigo Cavedine che venerdì 8 dicembre sarà ordinato Diacono nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Trento, a fare da punto di riferimento, nelle comunità che attraversa e ha attraversato, nel lungo cammino che lo ha portato fino a questo importante passaggio.
“Tutto nasce dalle radici”, ci racconta, quando gli chiediamo di ripercorrere la strada fatta finora.
Ho avuto un percorso cristiano come tanti giovani, e dopo la cresima, coinvolto dalle catechiste, mi sono avvicinato sempre di più alla parrocchia e alla comunità. La svolta è stata verso la fine delle superiori, quando mi è stato proposto il gruppo vocazionale: lì ho trovato persone che condividevano le mie domande sulla vita, e mi sono sentito accolto e accompagnato.
Quali sono stati i momenti che hanno maggiormente segnato questo percorso?
Un passaggio particolare, che mi è servito tanto, è stata un’adorazione notturna organizzata nei paesi della Valle dei Laghi, lunga tutta la notte. Inizialmente – da adolescente – mi sono chiesto perché pregare di notte se si può fare anche di giorno? Ma poi ho accolto la sfida e mi sono ritrovato la mattina dopo con tante nuove domande. Il momento più complicato, invece, è arrivato alla fine del secondo anno in seminario, quando sono rimasto da solo, ma la comunità mi è stata sempre vicina.
Che aspettative ha rispetto all’impegno che la aspetta?
Ci sono tante domande aperte, anche perché, se il cammino in seminario è abbastanza strutturato, nel servizio in parrocchia è più difficile individuare le sfide. Voglio però investire tanto nell’ascolto, perché quando chi ascolta riesce a mettersi nei panni dell’altro può essere tanto d’aiuto. In quell’ascolto, poi, voglio portare la testimonianza di Cristo: una testimonianza concreta, non solo attraverso la mia vita, ma anche attingendo delle esperienze di vita che ci circondano.
Parlando di esperienze di vita, quanto è stata importante quella vissuta durante l’anno esterno, previsto dal cammino del seminario, nella comunità delle Marche legata alla Papa Giovanni XXIII?
È stata un’esperienza forte. Ho vissuto in una casa famiglia di Montecassiano, con 5 figli naturali, 2 adottati e 2 in affido, dove ho potuto capire i tanti problemi che ci sono nelle famiglie e le situazioni delicate da cui provengono i figli in affido. Al mattino prestavo servizio nella serra gestita dalla comunità, in cui lavoravano ragazzi con disabilità, mentre il pomeriggio mi occupavo di faccende domestiche. Inoltre, come avevo chiesto al rettore don Tiziano, ho potuto avere un contatto con una parrocchia, in cui ho seguito catechesi e gruppi giovani. Avevo appena finito il periodo a Riva del Garda e Mattarello e sentivo la necessità di continuare a tenere un contatto con la vita parrocchiale.
E ora è a Cavalese. Cosa lega queste esperienze all’interno delle parrocchie?
Sono passato da una parrocchia, come era Mattarello, alle tre di Riva fino alle 12 di Cavalese. Tre comunità completamente diverse, da cui ho appreso tanto. A Mattarello ho scoperto le attività con i giovani, Riva del Garda è una realtà più cittadina, dove ho visto da vicino l’unione delle parrocchie, Cavalese è una realtà grande ma fatta di tanti piccoli paesi. La maggiore difficoltà è stata lo staccarmi dalla mia comunità di origine, a cui sono tanto legato, ma la preghiera mi ha aiutato. Nelle Marche, la prima sensazione che ho avuto dall’accoglienza delle persone, è stata notare come il Signore fosse già lì ad aspettarmi, prima ancora che arrivassi.
Durante il percorso in seminario che idea si è fatto sui giovani e le vocazioni?
I giovani in ricerca ci sono, non sono spariti. A volte però è difficile fare il salto, e lo capisco perché anche per me è stato così. Negli ultimi anni delle superiori mi facevo tante domande sulla strada che avrei percorso, ma avevo sempre un certo timore a buttarmi. Mi sono servite tanto le parole di due sacerdoti, don Mattia Vanzo e don Paolo Devigili, che in un’intervista fatta in occasione del loro presbiterato, avevano detto ai giovani di provarci, di buttarsi, perché il Signore li avrebbe sempre accompagnati. Secondo me ci sono tante potenzialità, ma bisognerebbe fare tanto di più, nel solco dei weekend vocazionali che abbiamo fatto, accompagnati dalle suore operaie, per portare la testimonianza e incontrare altri giovani che si interrogano. Sono incontri forti.
Come trascorrerà questi giorni in vista del diaconato?
Per i giorni del diaconato, il 7, l’8 e il 9 dicembre, ho voluto prenotare la zona comunitaria del seminario per vivere con gli amici quelle giornate. Negli anni ho riscoperto sempre di più il valore dell’amicizia: essere circondato da persone che ti vogliono bene per me è proprio salutare, è un aiuto grande. Come il ricordo del mio prozio don Silvio, che ci ha lasciati nel 2021, donandoci tanti esempi. Se oggi dico sì alla chiamata del sacerdozio è anche grazie a lui, conservo ancora le lettere che mi mandava nei momenti importanti della mia vita, come l’entrata in seminario o il rito di ammissione, e ancora adesso lo sento vicino, sento che mi sta accompagnando.
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