Il cinema italiano sembra proprio vivere un suo rinascimento. Non dimentichiamo infatti che il 2014 si è aperto con l’Oscar di Sorrentino, e poi a Cannes Alba Rohrwacher ha vinto il Gran Premio della Giuria con il suo “Le meraviglie”; così la stagione si preannuncia davvero promettente.
E anche questa 71ª Mostra di Venezia non ha smentito le aspettative. I fischi, le polemiche che accompagnavano il nostro cinema qualche anno fa, non ci sono più; eppure qualcuno si ricorderà i “buuu” quasi imbarazzanti alla Comencini, a Placido, ad Accorsi.
La tendenza, a Venezia, è cambiata da quando l’anno scorso il “Sacro Gra” di Rosi ha vinto il Leone d’oro; come per incanto quest’anno i film italiani in concorso e fuori concorso sono stati tutti molto interessanti.
Lo dimostrano in primis la Coppa Volpi per la miglior attrice protagonista a Alba Rohrwacher e la Coppa Volpi per il miglior attore protagonista a Adam Driver, i due attori di “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo.
In una Mostra poco campanilista – c’erano film davvero da tutto il mondo – i film italiani sono stati letteralmente osannati in sala, in conferenza stampa come sul red carpet.
Primo fra tutti “Anime Nere” di Munzi un film, tra l’altro, ambientato ad Africo, centro nevralgico della ‘ndrangheta calabrese e recitato tutto in dialetto stretto con i sottotitoli. Un noir italiano, anzi quasi un western ambientato ai nostri tempi, dove il richiamo alle leggi di sangue e il sentimento della vendetta hanno la meglio su tutto.
“Il giovane favoloso” di Martone, invece, affronta un tema spinoso e di poco appeal come Leopardi. E grazie a un commento musicale originale che combina la musica di Rossini alla musica elettronica di Sasha Ring e a quella canadese di Doug Van Nort, e soprattutto alla recitazione ironica, vivace e fanciullesca di Elio Germano, spoglia dalla retorica e trasforma il poeta ottocentesco in un’anima contemporanea ribelle, libera; un esempio, un eroe per i nostri giovani, forse.
“Hungry Hearts” di Saverio Costanzo, al contrario, attinge da problemi attuali e dalla letteratura contemporanea, in particolare si ispira a “Il bambino indaco” di Marco Franzoso, affrontando il problema dell’essere genitori nell’era degli OGM.
I film presentati fuori concorso non sono stati da meno; è il caso de “La trattativa” di Sabina Guzzanti e “La zuppa del demonio” di Davide Ferrario. Due documentari molto seri e ben fatti che restituiscono uno spaccato unico dell’Italia: quello della Guzzanti racconta la storia delle concessioni dello stato alla mafia; l’altro, di Ferrario, descrive l’utopia del progresso industriale attraverso la metafora di Dino Buzzati che paragona la produzione dell’acciaio degli altiforni di Taranto alla “zuppa del demonio”.
Ma ci sono state tante altre presenze italiane nelle varie sezioni del Festival, tanti titoli che promettono una stagione cinematografica ricca e di molti generi. Finalmente.
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