L’eredità benedettina

Alla cena sul Doss Trento si è chiuso un capitolo durato un quarto di secolo di rievocazioni. Un impegno civile e religioso

Al piccolo esercito di volontari, vestiti con il saio medioevale dell'ordine monastico di San Bendetto da Norcia, che per l'ultima volta ha preparato la cena benedettina, ovvero un pasto frugale a base di pasta e fagioli, di un tozzo di pane, un pezzo di formaggio e un bicchiere di vino, sul Doss Trento è stato indirizzato l'appello dell'Abate Primate padre Notker Wolf. Tra il serio e il faceto Wolf ha invitato i “finti” benedettini a trasformarsi in veri seguaci di Benedetto, patrono d'Europa, per svolgere nella società il ruolo di cristiani impegnati nella costruzione della Chiesa del futuro, impoverita dalla crisi delle vocazioni nel clero e nei conventi monacali.

A Wolf è stata data l'ultima parola, prima del via alla cena disturbata dal rumore sordo dei tuoni e dalla pioggia, illuminata dai fulmini di un temporale che alla fin fine si è dimostrato benevolo . Ad ascoltare c'erano più di duemila avventori, come sempre giunti da ogni parte del Trentino, ma anche da fuori provincia, per quella che era stata annunciata come la cena dell'addio, dopo 25 anni dal suo decollo e l'annuale riproposta in occasione delle Feste Vigiliane.

Notker Wolf, era accompagnato da confratelli di vari ordini Bendettini, a dal trentino Padre Gianni Dalpiaz, monaco camaldolese. A siglare quest'ultimo incontro i sindaci che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo della cena, prima nel quartiere di Piedicastello e poi sulla Verruca: Lorenzo Dellai, Alberto Pacher e Alessandro Andreatta. Una cena nata dalla protesta in un'area della città massacrata dalle infrastrutture viabilistiche, divenuta via via un'indicazione di futuro, dopo i cambiamenti intervenuti nel corso dei 25 anni. Lo ha ricordato il presidente del Comitato organizzatore Andrea Zanotti che ha parlato di obiettivi raggiunti che nell'annunciare la fine della manifestazione l'ha definita “il modo migliore per preservare ciò che abbiamo costruito insieme , per non abbandonarlo all'usura del tempo, per non arrendersi a vedere il fulgore di gesti simbolici importanti scendere njella noia della ripetizione”. “Così – ha ancora affermato – ci si deve salutare dopo gli incontri veri, quelli destinati a lasciare il segno con il proposito di tener fermo a ciò che si è vissuto e con una nostalgia che non cede al rimpianto”. Parole di un laico con una stretta assonanza e un intreccio verbale e di contenuto con l'appello del frate-monaco circa l'impegno che deve sopravvivere all'appuntamento culinario, tutto particolare, suggestivo, improntato alla frugalità e all'essenzialità, come stile dello stare insieme, ma anche come monito di fronte ad un benessere che sta sfarfallando, trasformandosi in deriva sociale, per privilegiare il silenzio e la capacità di ascolto, l'ospitalità, il dialogo e il confronto. Le impronte, inoltre, lasciate dal movimento benedettino a Trento sono state ripercorse alla vigilia delle giornata festiva, con una sosta nell'Abbazia di San Lorenzo, primo luogo edificato dai benedettini in Trento. Qui i monaci intervenuti – fra i quali i brasiliani Bento, Angelo e Marco del complesso monumentale di Santo Stefano in Bologna, Dalpiaz, priore di San Giorgio, Wolf, abate Primate di tutte le 19 congregazioni benedettine esistenti al mondo, hanno recitato con l'arcivescovo Luigi Bressan i Vespri solenni dietro la guida del parroco di Piedicastello, don Piero Rattin.

La presenza di padre Wolf è stata definita dal Bressan “un privilegio che intende riaccendere anche oggi lo spirito religioso rinnovatore di San Benedetto”. La Festa della Trinità ha rappresentato per il vescovo l'opportunità per sottolineare come il fuoco vero ossia le fiamme che avevano distrutto il primitivo convento e le esplosioni durante i bombardamenti bellici sul tempio civico, che quello “ardente e positivo che arde nel cuore, che non distrugge, ma edifica, come già nel roveto del Sinai: è il fuoco portato da Gesù e che viene dal Padre attraverso lo Spirito Santo a Pentecoste”. Nei primi anni del XIII secolo furono i domenicani a sostituire i benedettini che costruirono la loro abbazia intorno alla chiesa di sant'Apollinare, dove nel corso dei recenti lavori di restauro è stato rinvenuto un altare dell'antico tempio.

La benedizione dell'ara sacra ha rappresentato un'altra tappa degli incontri liturgici che hanno preceduto l'ascesa al Doss Trento e la benedizione della cena in uno sfavillio di torce e luni accesi, in una coreografia che includeva musiche e recite di salmi ed altri canti spirituals.

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