Il caso mediatico: venerdì scorso suor Cristina ha vinto il Talentshow di Raidue, The Voice. «Ha vinto il talento o ha vinto il personaggio?» è la domdanda che gira con maggior frequenza sui Social. La nostra domanda va un po' più in là: che senso può avere per suor Cristina e per il mondo cristiano questa partecipazione ad un Talent. Radio Trentino in Blu ha girato la domanda a suor Chiara Curzel delle suore Venturine di Trento, docente di patrologia allo Stat e collaboratrice della Pastorale Giovanile diocesana.
Anche lei, suor Chiara, è abbastanza abituata a comunicare con i giovani e a cercarli nei luoghi che loro frequentano, ma immagino che di partecipare ad un talent non si sia mai sognata…
No, fino adesso no, e penso neppure in futuro, anche perché non ho il talent sufficiente. Di sicuro questo talento, invece, suor Cristina ce l'ha. Poi ogni scelta di mettere la testa fuori da quell'ambito che per una religiosa è considerato normale comporta dei rischi e delle conseguenze che tu devi assumerti. Io spero che suor Cristina e le consorelle li abbiano valutati.
Ma si sente di condividerla, questa scelta?
Lei è stata una presenza bella, sugli schermi. Una suora carina e giovane, e una suora che si è presentata per quello che è: una religiosa, una che ha fatto la sua scelta nella vita come gli altri hanno fatto la loro. La cosa che mi sembra particolare è che in quel contesto lì la più trasgressiva da un certo punto di vista, la meno omologata era lei. Da questo punto di vista io sono contenta che lei abbia provocato anche il mondo cristiano, il mondo delle religiose a interrogarsi sul proprio modo di essere e sulle strade da intraprendere.
In chiusura, al momento della premiazione, ha recitato il Padre nostro suor Cristina. É un segnale forte che ha voluto dare…
Certo. Poi naturalmente ci sono i rischi. Io ne vedo alcuni: primo, quello della strumentalizzazione da parte del programma e dei meccanismi televisivi: tu diventi “l'attrazione” e quindi strumentale ai fini dell'audience, col rischio di non essere capita nelle tue vere intenzioni. Un secondo rischio mi sembra stia nella competizione: il vincere consiste nel far perdere altri, e a volte questo può essere in contrasto con quello che tu sei lì a portare. Un terzo rischio mi sembra quello della banalizzazione della tua scelta di vita: il tuo crocifisso può diventare un ciondolo come quello degli altri. Il rischio più grande, però, a dire la verità mi sembra quello che corre lei. Lei si è dimostrata libera, e in modo bello, libera dagli stereotipi. Io spero che lei rimanga libera, che sia altrettanto libera rispetto al successo, che faccia delle scelte coerenti con quello che ha scelto prima, il suo essere religiosa.
Quanto alla strumentalizzazione, la vede così ingenua da non averlo messo in conto?
No, penso che quando hanno scelto, lei e tutta la famiglia religiosa, perché nel nostro ambiente queste decisioni non si prendono da sole, penso che abbiano pesato il beneficio per la missione e il rischio collaterale
Fin dall'inizio, la motivazione è stato il richiamo di Papa Francesco ad uscire dalle chiese: questo può essere un modo per abitare i luoghi dei giovani di oggi?
Non me la sento di dirti che sia condivisibile in pieno – non lo è per il mio modo di vivere e di pensare la missione – però non mi sento neppure di condannare questo tentativo. Ci viene chiesto di provare ad essere presenti nel mondo, di superare il divario tra la fede e la vita. Ci viene chiesto di entrare negli ambienti dove i giovani ci sono. Lei ha provato ad esserci e lo ha fatto con un certo stile, con una pulizia del gesto e della parola, per cui tanto di cappello. Anche i giovani religiosi hanno diritto di provare e rischiare per quello in cui credono, come qualsiasi altro giovane.
Ma alla fine ha vinto il personaggio o il talento?
Le due cose non si possono disgiungere, ci sono tutte due.
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