Una stanca replica di rituali visti e rivisti

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Sarà perché le vicende internazionali sono particolarmente drammatiche e monopolizzano l’attenzione dell’opinione pubblica, ma la politica italiana sembra sempre più una stanca replica dei consueti rituali. Per tentare di ravvivarla si sventola qualche bandierina in più, ma non si riesce a farci superare la sensazione di una vischiosità che non lascia margini all’inventiva.

La bandierina della riforma istituzionale che ha ad oggetto il premierato si è rivelata in tutta la sua modestia populista. Sul versante della maggioranza la si è ridotta al solito slogan del dare il potere al popolo (come se una elezione diretta del premier lo realizzasse), sul versante dell’opposizione alla geremiade sul tradimento della Costituzione. Per il resto è un gioco di piccole furberie: il governo proclama che il testo non è blindato e che se ne può discutere, salvo a far capire che in sostanza deve rimanere quello; l’opposizione lavora per puntare ad un referendum confermativo su una legge che passerà a maggioranza nella speranza che il congiungersi di critiche alle norme mal scritte con il conservatorismo che respinge le novità porti il governo ad una sconfitta nelle urne che lo mandi in crisi.

I calcoli dell’una e dell’altra parte sono frutto di arzigogoli incerti. Innanzitutto non daremmo per scontato che questa volta l’opposizione possa facilmente vincere il referendum. Al contrario di altri casi qui il quesito è comprensibile e può solleticare il populismo (non volete che il popolo decida direttamente chi lo governa?). Inoltre i referendum sulle riforme costituzionali non hanno quorum di partecipazione per la validità e non è detto che la capacità di mobilitazione della destra sia inferiore a quella della sinistra (da una parte e dall’altra votano i militanti). Però rischia anche la maggioranza a illudersi che in caso di sconfitta il governo rimarrà in carica: così ha dichiarato il sottosegretario Mantovano, ma non è credibile, perché nella maggioranza il desiderio di sbarazzarsi della Meloni non è piccolo per cui difficilmente in caso di una sconfitta, che sarà vista come la “sua” sconfitta, ne approfitteranno quanto meno per ridimensionarla pesantemente.

Tutto questo avverrà però in tempi non rapidi: ci vogliono dai 12 ai 18-20 mesi per concludere l’iter di una riforma del genere, dunque l’eventuale referendum si terrà non lontano dalle elezioni per la scadenza della legislatura. Questo può significare che se governo e maggioranza se la vedessero brutta potrebbero por fine anticipatamente alla vita del parlamento con elezioni anticipate che renderebbero impossibile svolgere il referendum.

È un quadro molto pasticciato che serve per lasciare a margine questioni più immediate e assai più complesse. La legge di bilancio già mostra scarsa tenuta sui marchingegni inventati per raschiare il fondo del barile raccogliendo un po’ di risorse per non far troppo debito. Si sta già lavorando per una serie di retromarce su pensioni e tagli vari. Banale dire che può diventare l’anticamera per ulteriori modifiche, ciò che darebbe una immagine non buona a Bruxelles dove abbiamo già problemi nella formazione del bilancio su come contabilizzare i vari bonus. Per non parlare di ulteriori problemi che sembrano esserci sulla gestione del PNRR perché in sede europea si fa fatica ad accettare il ridimensionamento dei fondi per certi interventi dei comuni.

Il governo lancia ora un progetto per gestire i flussi migratori: costruire campi per accogliere migranti in Albania (gestiti da noi e con nostra giurisdizione). Solo quelli salvati in mare, perché altrimenti per quelli già approdati in Italia sarebbe deportazione di non consenzienti, mentre per i primi può passare come la destinazione di naufraghi ad un porto sicuro come previsto dalle leggi internazionali. Non ci vuol molto a capire che il fine è disincentivare partenze di migranti che approdano in Italia per andare poi abbastanza facilmente altrove, il che da campi situati in Albania sarebbe ben più difficile.

Si può discutere sulla bontà di questo piano e sulla sua efficacia, ma buttarsi subito come fanno le sinistre nel populismo della denuncia di una presunta violazione dei diritti umani ci pare poco produttivo e di limitata presa sulla pubblica opinione. Nel complesso però siamo sempre nell’ambito di trovate per raccattare voti alle elezioni europee, senza preoccuparsi di lavorare sui nodi della nostra situazione, che potrebbe anche dover affrontare qualche emergenza se il quadro internazionale non si schiarisse (noi speriamo che la schiarita ci sia, né vogliamo essere pessimisti a priori, ma in politica bisogna tenere conto anche di ciò che potrebbe andare storto).

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