“Vota Antonio, vota Antonio La Trippa”, diceva Totò con un improbabile megafono in mano. Ogni volta che c’è una campagna elettorale, quella è l’immagine da cui non si scappa. I candidati cercano di fare meglio, non sempre ci riescono. Nell’era digitale, tutto è cambiato. Il nuovo megafono sono i social network che hanno soppiantato i cartelloni appesi lungo le strade, le lettere inviate per posta, persino i dépliant imbucati nelle bussole delle lettere. I comizi sono spariti, pochi gli incontri pubblici, mai viste così poche inserzioni a pagamento sui quotidiani, persino gli spot televisivi hanno mostrato un che di desueto. La campagna elettorale si è consumata soprattutto negli incontri personali e – inevitabilmente – attraverso le tre applicazioni di Mark Zuckerberg: Facebook, Instagram e Whatsapp.
L’oscar dell’acrobazia deve andare a chi ha iniziato in estate la campagna elettorale con un simbolo e poi, a settembre ha dovuto cambiare tutto: passare dalla fiamma tricolore allo scudo crociato, per chi ricorda gli schieramenti della Prima Repubblica, è un triplo salto mortale, all’indietro e pure carpiato. C’è poi chi, in un video, viene presentata con foga da un signore che cerca di essere convincente sulle qualità della candidata: non potrebbe essere altrimenti, visto che è pure sua moglie. C’è chi cavalca l’orso e si augura di riuscire a mangiarne un giorno lo spezzatino. Idea che ottiene visibilità nazionale, ma viene subito sconfessata anche dai compagni di partito: in Trentino, oggi nulla è più divisivo dell’orso. Animali in tutte le salse. Tantissimi cani (un classico: da Dudù di Berlusconi a quello messo in braccio a Monti, che poi non gli aveva portato tanto bene), qualche gatto, persino un alpaca per sottolineare la forza del sorriso (della candidata, ovviamente, non dell’animale). E che dire del potente capolista che l’ultimo giorno di campagna elettorale decide di fare un regalo ai propri sostenitori: proprio un sorriso, cosa per lui – sottolinea – assai rara. Incuriositi, si va a scorrere il profilo e, in effetti, non si trova alcun sorriso. Nemmeno nell’ultimo scatto, per la verità.
C’è chi sui social è arrivato a pubblicare persino le foto dei figli, violando la regola non scritta, ma di buon senso, di evitare di “usare” i bambini in una competizione nella quale non c’entrano niente. Poco elegante, penso abbiano perso dei voti, più di averli guadagnati. C’è il video della candidata che scende le scale con la prudenza e il terrore negli occhi di chi ha paura di cadere, neanche fosse all’Ariston di Sanremo, mentre è lì solo per esaltare il primato nelle presenze ai gazebo. C’è chi raccoglie mele, per evidenziare l’appartenenza ad una valle, c’è chi si improvvisa tra le vigne per la vendemmia e c’è pure chi, con lo sguardo fiero di Peppone nei film con don Camillo, si fa fotografare alla guida del trattore. C’è chi ha scommesso sulla “narrazione Netflix” allestendo un vero e proprio set per la registrazione degli amici testimonial. C’è chi ha puntato sull’effetto “Striscia la notizia” pubblicando il backstage degli errori colti durante le riprese. C’è chi, invece, i video se li è fatti, letteralmente, in casa: sulla tavola della cucina, con la credenza alle spalle, per dare il senso di familiarità ad un messaggio decisamente “casalingo”. E che dire della scelta di riprendere con sfondo chiaro una candidata che indossa qualcosa che assomiglia ad un camice: appare smilza, dimezzata, effetto del bianco su bianco. A proposito di colori, c’è la compagine che ha caratterizzato tutta la campagna elettorale con il color giallo: tutti i candidati con felpe, smanicati, berretti e camicie gialle. Peccato che su gran parte dei post non ci sia alcun riferimento al nome della lista.
Un candidato, non certo di primo pelo, si è presentato con cravatta elegante e vestito scuro a parlare di acqua e di montagne: sfondo d’alta quota, evidentemente una fotografia, altrimenti sarebbe a casa con la polmonite. C’è chi ha scelto il fumetto per raccontare ciò che pensa e chi, invece, è rimasto fedele al vecchio concetto della lettera scritta su foglio A4, righe fitte fitte, spaziature ridotte al minimo per guadagnare spazio. Peccato che quella missiva, riproposta via social, sullo smartphone risulti assolutamente illeggibile. Come certi cartelli realizzati valutandone la bellezza sul grande schermo in ufficio e poi indecifrabili per chi li guardava sul telefonino: se vuoi comunicare ti devi mettere dalla parte di chi guarda, non di chi scrive. È stata, infine, una corsa al selfie con il leader nazionale: sono arrivati proprio tutti. È mancata solo la Presidente del consiglio, si diceva potesse arrivare l’ultimo giovedì. Alla fine, non è venuta, poi si è scoperto che proprio quel giorno aveva da risolvere qualche problema a livello familiare: nell’epoca del digitale, tutto viene conservato, nulla scompare, nemmeno ciò che dici fuori onda.
P.S.: Questo articolo, per non essere condizionato dai risultati, è stato scritto sabato 21 ottobre, giorno di pausa tra la chiusura della campagna elettorale e l’apertura delle urne. Doveva essere il “giorno del silenzio”, ma gli smartphone hanno continuato a ricevere messaggi e i social mica si sono fermati. Quanto sono lontani i tempi del megafono del candidato Antonio La Trippa.
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