Il torrente ha spesso minacciato il paese con piene o inondazioni più o meno catastrofiche. E appunto in tutte queste circostanze tragiche, improvvise e spesso inaspettate, sono nate anche le varie “cascate o cascatelle” che dir si voglia: la “transumanza stagionale” dell’Avisio non ha mai risparmiato nessuno, toccando picchi più o meno alti in occasione appunto di inondazioni, piene, “brentane” e allagamenti vari. I maestri di scuola (i Pio Tamanini, i Lino Dalprà, i Mario Dallatorre) ci hanno sempre raccontato le varie “tragedie” che il torrente di casa aveva combinato nel tempo.
Nel 1882, anno di una grande inondazione, l’Avisio raggiunse la massima portata di 1220 metri cubi di acqua al secondo, minacciando non soltanto Lavis, ma anche parte del Trentino inferiore.
Per non parlare poi degli interventi, ripari e arginazioni realizzati nel corso degli anni. Il più grosso intervento è stato quello della Serra di S. Giorgio (cominciato nel 1882), il famoso Zambel a monte di Lavis e confinante col Comune di Giovo e l’omonima chiesetta che sta sul colle. Era stata definita un’opera colossale a quei tempi (costò al Governo e al Consorzio dell’Adige ben un milione e mezzo di corone): sessanta metri la larghezza della diga, tre metri di spessore, venti metri di altezza e oltre dieci metri di fondamenta!
L’Avisio con le sue varie cascate ha contribuito nel tempo alla fluitazione del legname per tutta la valle. Se ne parla addirittura in un documento del 1331 per la regolamentazione sul tratto Monreale-Giovo. Nel 1551 un’ordinanza vescovile obbligava i negozianti di legname a contribuire per le riparazioni sul corso del torrente; quest’ordine venne poi ripetuto anche nel 1610.
Ai Vodi (dove oggi esiste il famoso ponte bersagliato dagli aerei nell’ultima guerra), l’Avisio sboccava direttamente nell’Adige e tutt’intorno esistevano le segherie che fluitavano i grossi tronchi in arrivo fino alla foce.
L’Avisio non perdonava e non ha mai perdonato nel corso della storia. Nel 1906 un’altra inondazione. Nel 1926 e nel 1928 altra piena e “brentana”. Nel 1951 in seguito a un grande nubifragio (è l’anno dell’inondazione del Polesine), le onde dell’Avisio spazzarono via completamente il campo sportivo che si trovava nel greto. Nel 1966 la grande alluvione (altro che cascate e cascatelle): l’Avisio arrivò quasi a toccare il livello del ponte S. Giovanni Bosco e nella zona dello Zambel intorno alla diga di S. Giorgio l’angoscia e la paura erano all’ordine del giorno.
La tradizione è il passato che insegna, diceva qualcuno; nei ragazzi di allora sono rimasti però i ricordi delle “cascate e cascatelle” della loro infanzia, quando in fila indiana si andava con la scuola o l’Oratorio nella zona dello Zambel e in prossimità della diga si potevano ammirare le due belle cascate spumeggianti ai lati della stessa. Era quello il vero “Mare nostrum” dei lavisani, dopo il ponte sospeso e inondato dagli spruzzi d’acqua rarefatti; si proseguiva sulla sommità della diga, fermandosi poi nel centro ad ammirare il panorama verso la borgata e piazza Loreto. Lo scorrere allegro e turbolento dell’amico Avisio veniva commentato dagli insegnanti, ma anche da noi scolari; il nostro torrente era indispensabile in quelli anni felici, il suo scorrere, a volte placido e a volte arrabbiato, è sempre stato sinonimo di vita e di tempo che fugge.
Le uniche interruzioni nello scorrere dell’Avisio erano le cascate e le varie cascatelle che si ammirano ancor oggi: pause di un torrente che placidamente racconta lo scorrere della vita di un paese che porta il suo nome.
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