Lo spunto:
Ho letto la notizia che Maso Franch, sulla strada che da Lavis porta in val di Cembra, trasformato in ristorante, è stato chiuso. “Maso Franch da sottrarre al degrado”, riporta il titolo dell’articolo. Il maso era stato costruito per metà “ex novo” su un vecchio edificio, con locali di ristorazione e camere. Un investimento di circa 6 milioni di euro, di cui 1,8 di contributo provinciale. Il prof. Giorgio Daidola, docente di economia aziendale all’Università di Trento, aveva espresso seri dubbi sulla sostenibilità economica dell’iniziativa. La struttura, assieme ai terreni, era poi stata acquistata nel 2010 da Cooperfidi con un’operazione di “lease back” nell’ambito degli interventi per salvare la cantina di Lavis dalla grave crisi finanziaria che rischiava di travolgerla. Mi domando se tutta la vicenda sia stata “solo” un investimento sbagliato, o se abbia altre “lezioni”, magari sgradevoli ma utili, di cui far tesoro.
Lettera firmata (Trento)
Tutta la vicenda di Maso Franch ha sollevato forti polemiche in passato e ne solleva ancora come testimoniano le numerose lettere ai giornali che chiamano in causa i responsabili delle scelte, i costi eccessivi, e i “soliti” contributi provinciali. Per parte nostra, senza voler entrare nei costi (ribadendo che è stato giusto per tutto il Trentino salvare il lavoro dei soci della Cantina di Lavis e la qualità dei suoi vini), può forse risultare utile aggiungere una piccola testimonianza giornalistica alla parabola del maso, per rendersi conto che la sua triste conclusione non sembra derivare tanto da una gestione sbagliata, ma risale ad una ambizione e ad un contesto fuori sintonia con la “mission” dei proponenti. Vicenda purtroppo non infrequente nel Trentino, portato a “scoppiare” come la rana dell’antica favola di Esopo, quando ritiene che basti “gonfiarsi” per raggiungere la dimensione di un grosso bue.
Per capire merita riandare con la memoria agli anni di crescita e di successo per la Cantina sociale di Lavis. La qualità dei suoi vini le aveva assicurato una credibilità nazionale, mentre il territorio vitato era stato ampliato e coordinato con la val di Cembra grazie a un’opera di paziente tessitura operata dal suo presidente e da un qualificato staff di cantina. I dirigenti ne erano orgogliosi, con ragione, e anche oggi devono essere rispettati nelle loro scelte anche se poi hanno sbagliato. Poi vennero i passi successivi. La cantina “sbarcò” in Toscana, nella zona del Morellino (un vino stupendo, di carattere ma cordiale, nella zona fra Maremma e Grossetano) e insieme rilevò una tenuta nel “cuore d’oro” del Chianti, un’operazione molto impegnativa ché se il Morellino poteva ritenersi complementare al marketing di Lavis, il Chianti, per la clientela cui si rivolgeva e per gli interlocutori con cui doveva confrontarsi, si presentava come una sfida non proprio alla portata di tutti. Cosa che venne osservata. Lavis avrebbe potuto però gestire e assorbire anche le nuove acquisizioni se avesse operato con lo stile, la capacità umile di lavoro, i contatti umani che ne avevano contraddistinto la crescita. Ma invece Lavis non seppe fermarsi, preferì seguire la scorciatoia di esperienze altrui, non aderenti al suo stile né alla sua vocazione.
Le contraddizioni sono emerse presto. La prima dissonanza veniva dal fatto che, palesemente, l’iniziativa di Lavis di avere una vetrina “vip” a Maso Franch tendeva a replicare l’esperimento di richiamo mediatico e “stellato” che la famiglia Lunelli stava conducendo con lo spumante Ferrari a Margon. La seconda che Maso Franch si poneva in alternativa, e di fatto emarginava, la vecchia trattoria di Sorni Vecchia che era stata fino ad allora il riferimento di Lavis per gli incontri gastronomici e di rappresentanza. Quali le controindicazioni? Che le iniziative in seconda battuta risultano sempre subordinate rispetto a quelle di prima scelta e rischiano di essere comunque percepite, al di là dei loro meriti, come una serie B. Le iniziative Lunelli erano poi in funzione di un livello di clientela che non corrispondeva a quello dei vini di Cembra e Lavis, mentre non è assolutamente assodato che i ristoranti con la “stella” siano necessariamente superiori a quelli con la “forchetta”, o più gradevoli di una cordiale trattoria gestita da una brava cuoca invece che da uno chef. Sorni Vecchia era poi un ambiente ideale: un paese stupendo, pronto ad accogliere, ad “avvolgere” con calore chi lo raggiungeva, con una vista meravigliosa su tutta la Valle dell’Adige. Maso Franch, anche se gestito da quello che era forse il più grande chef dell’Alto Adige, non si presentava con altrettanto fascino, non era circondato da uno spazio altrettanto magico, non riusciva a valorizzare appieno gli splendidi paesaggi di Cembra. Poi, per venire ai dettagli, ha giocato contro il restauro della struttura, progettato sicuramente da arredatori prestigiosi, ma freddo e minimalista come è troppo spesso la tendenza di oggi, ché par sempre di trovarsi in una sala d’aspetto per una visita, invece che in un luogo di incontri e di amicizia ad attendere un buon piatto. Ricordo ancora i commenti, stupiti forse più che delusi, di un gruppo di giornalisti invitati a uno dei primi incontri: “Auguri … Cibi molto interessanti, ambiente razionale, ma freddo”. L’atmosfera è infatti fondamentale in un ristorante, al pari della qualità (che può significare anche semplicità, senza esagerare con gli esotismi culinari, gli accostamenti arditi, i barocchismi fatti per stupire). Trovarsi bene, in un ambiente cordiale, questo è il segreto. Senza entrare nel merito dei costi e dei contributi provinciali vale sempre il vecchio detto trentino per cui il miglior accostamento alle portate è “’n piàt de bona cera”. In questo senso, con l’attuale arredamento, non sarà semplice rilanciare Maso Franch. Ma questo è un altro discorso. Il problema vero è che il Trentino deve imparare la sua lezione, che consiste nell’essere e non nell’apparire o “copiare”, nella sobrietà della sua cultura, non nella presunzione, nel saper valorizzare il suo stile alpino senza fare i passi più lunghi della gamba.
Buongiorno, sono Alda e mi riferisco alla gestione del Maso Franch. Progetto sbagliato e osservando la foto che avete pubblicato, si vede con quali oggetti hanno apparecchiato la tavola: molto eleganti e lussuosi. Da questi dettagli si capisce l’enorme spreco di denaro e i costi relativi a chi voleva pranzare o cenare. Quando spendi troppo una volta, la seconda non ci vai. Così è arrivata la chiusura del ristorante e con la crisi economica in atto, chissà che fine farà. Dispiace, ma le cose troppo in grande, finiscono quasi tutte così. Vorrei che il mio nome e cognome non apparissero.… Leggi il resto »
Per me tutto quello che è stato scritto in questo articolo era “storia” di 15 anni fa’. La cosa che mi lascia deluso è che solo adesso viene messo alla luce tutto quanto, quando da ex socio si cercava uno spazio sui giornali per difendere i diritti di alcuni soci che ci avevano visto lungo, venivamo denigrati da molti vostri colleghi e dalla classe politica e cooperativa di allora. Purtroppo è troppo semplice scrivere certi articoli quando ormai le cose sono precipitare fino ad affondare….. Da ex socio mi dispiace che ancora oggi, chi ha dato fiducia nell’ operato, non… Leggi il resto »