Lo spunto:
Il mio incontro con Francesco Eusebio Chini, conosciuto come Padre Kino, missionario gesuita di origini trentine (onorato negli Stati Uniti, tanto che una sua statua è esposta nella Hall of Fame del Campidoglio a Washington) risale a una trentina di anni fa e, come spesso accade per gli incontri importanti, l’occasione era sicuramente inaspettata e insolita. Ne sentii parlare mentre mi trovavo in compagnia di alcuni amici californiani. Spinti dalla passione per la canoa erano giunti in Trentino fino alle acque del torrente Noce. Come avevano fatto loro con me negli Stati Uniti anch’io m’ero impegnata a far loro da guida, portandoli a scoprire le bellezze più nascoste di quella splendida valle. Giunti a Segno, proprio dove la vallata si allarga, mi dissero: “Ma qui è nato il nostro padre Kino”. Rimasi stupita per due motivi. Il primo perché nonostante tutto, pur trentina, il nome risuonava per me come quello di uno sconosciuto, il secondo per quel “nostro” pronunciato con tanto entusiasmo da quei ragazzi americani con cui credevo di avere in comune, oltre all’amicizia e all’età, soltanto la passione per la canoa. E invece c’era qualcosa d’altro, anzi qualcuno, che ci legava. (…) Decisi che dovevo approfondire la conoscenza di quest’uomo e incominciai a cercare sue notizie, a Roma, in Germania, in Spagna, in America.
Angela Maria Marchetti
(“Un trentino nell’America del Seicento”)
Di padre Eusebio Chini, non ancora internazionalizzato in Padre Kino, molti ricordano il monumento che sorge in piazza Dante, vicino al laghetto. Lo ricordano perché era una tappa dei percorsi che negli anni Cinquanta le scuole seguivano, portando i ragazzi alla scoperta della loro città e della sua storia: il Castello, il mausoleo di Cesare Battisti sul Doss Trento, il monumento a Dante (“il più bello d’Italia”) quello a Luigi Negrelli, che costruì il Canale di Suez… Quello di Eusebio Chini, nato a Segno in val di Non, rimaneva impresso per la divinità strana che rappresentava. Padre Chini veniva però considerato una “gloria minore” del Trentino, anche perché non si sapeva bene cosa avesse fatto in America. Ci vollero le ricerche di padre Bonifacio Bolognani sull’emigrazione trentina negli Usa (“A courageous people from the Dolomites”) per capire la grandezza della sua figura di geografo e missionario, di fatto lo scopritore della California meridionale e il fondatore di missioni (San Xavier del Bac, vicino a Tucson e Sancta Magdalena) nuclei originari degli insediamenti dello stato di Arizona. Di qui la statua a lui dedicata nel Famedio del Campidoglio di Washington. Sono stati però determinanti i libri di Angela Maria Marchetti basati sulle ricerche in archivio, a Roma (presso la casa madre dei gesuiti) e in America, per capire la grandezza del ruolo storico da lui ricoperto, ma soprattutto della sua umanità nei tempi in cui visse (1645 – 1711). “Apostolo degli Indios” viene spesso chiamato, ma il suo ruolo va ben oltre. Alle tribù indie dell’Arizona egli, ben prima della fede, trasmise la dignità, il riscatto che viene dal sentirsi uomini liberi, padroni della propria terra per non diventarne schiavi, asserviti ai potenti e prepotenti, e tutto questo mentre i colonizzatori bianchi di origine spagnola (Arizona e California erano allora Nova Spagna) si sentivano “conquistadores”, distruggevano le antiche culture e ne massacravano le popolazioni. Ma anche al Nord la situazione era di violenza. Le successive ondate di immigrazione europea cacciavano gli indiani dalle loro terre e introducevano la schiavitù delle popolazioni africane.
Ben diverso il caso di Chini, affascinante ed esemplare nel racconto che ne fa Angela Maria Marchetti nella seconda edizione del suo libro (“Un Trentino nell’America del Seicento”, San Paolo Edizioni) uscito da poco, dopo la proclamazione di Chini a “venerabile”, benché le popolazioni indie l’avessero glorificato e considerato “santo subito” dopo la morte. Ma la seconda edizione ha una marcia in più rispetto alla prima edizione che risale al 1996. Non solo il libro esplora a fondo il percorso di vita di padre Chini (dalla nascita agli studi a Hall in Tirolo, al voto di farsi missionario durante una grave malattia) non solo scava a fondo documenti inediti e manoscritti dello stesso Chini, ma lo segue, in una sorta di immedesimazione totale nelle sue esplorazioni ed emozioni, cogliendo l’attualità e la modernità della sua visione e azione. è forse ciò che più colpisce nel libro, e lo rende ancora più convincente, questa sintonia, esistenziale prima ancora che letteraria, fra l’autrice e il suo personaggio. Ne dà testimonianza simbolica un’immagine che raffronta la scrittrice, a cavallo nel Deserto dei Saguari Giganti, in Arizona, con una statua di Padre Kino sempre a cavallo, con un ampio cappello in testa, che è copia di quella donata dall’Arizona a Segno e che ora figura nella piazza del paese. Due tempi diversi, ma un unico proposito, quello di mostrare come Chini sia diventato “Kino”, non solo conoscere i territori, ma mescolarsi alle loro popolazioni e riscattarle. I Saguari sono i più grandi cactus esistenti, alti fino a 10-15 metri, con tre metri di circonferenza, e sono chiamati anche “cactus a candelabro” perché protesi con le ramificazioni che sembrano braccia sacrali. Assorbono lentamente anche enormi quantità d’acqua e fanno frutti succosi simili a fichi da cui si ricavano sciroppi, confetture, vino che costituiscono le maggiori risorse delle popolazioni. E Padre Kino insegnò agli indios a gestire le loro risorse, non a sfruttarle e poi abbandonarle (come facevano ad esempio i maya con il mais) per essere così liberi, per non diventare schiavi nelle miniere. “Prima di insegnare loro la fede – scriveva nei suoi diari – occorre sedersi accanto a loro, nei villaggi ai confini del deserto, ascoltarli”. Quelle sull’esperienza del deserto come “rivelazione” umana oltre che segno di immensità divina, sono fra le pagine più belle della Marchetti. Eusebio Chini giunse in Arizona come gesuita europeo, matematico e uomo di scienza (prima di partire gli era stata offerta la cattedra universitaria, da lui rifiutata) mentre a Cadice aveva studiato la cometa del 1681, con calcoli che poi lo stesso Newton avrebbe ripreso. Entrò come trentino-tirolese (diocesi di Trento, contea dei Flavon) nel Deserto dei Saguari (“tridentinus-tirolensis” si definiva quando era studente a Hall) e ne uscì missionario fra gli indios. Entrò come Eusebio Chini e ne uscì come Padre Kino. Il deserto, fra gli indios e i cactus a candelabro, l’aveva cambiato. Sotto il sole accecante, in alto sulla sella, mentre rovi e serpenti strisciavano fra gli zoccoli del suo cavallo si liberò del suo passato e assunse un’identità nuova. “Nel deserto – scrive la Marchetti nel libro e nel suo blog (www.angelamariamarchetti.com) – si scopre quanto sia preziosa l’esistenza. Nel deserto i vivi lo sono davvero, il deserto è un passaggio arido, un vuoto legato alla morte, all’esaurirsi di una situazione ormai giunta al termine. Il deserto è il luogo in cui ci si spoglia del superfluo, il luogo necessario per riassettarsi prima della rinascita. Nel deserto l’uomo capisce i suoi limiti, entra in contatto con il più profondo sé”.
È il vero messaggio del libro e della vita del gesuita di Segno. Non è una “gloria locale” Padre Kino, ma un gigante che rese gli indios, destinati alla schiavitù, uomini liberi, e diede al Trentino una identità più forte nella sua “missione” di incontro fra culture e minoranze, con solidarietà.
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