Anche al cinema, la guerra non è mai la soluzione

“La potenza del cinema, di quello che è rimasto o di quello che sarà, è di rendere reale l’incredibile, che è semplicemente quello che c’è, ma non si vede”. Quando Gianni Zanasi faceva quest’affermazione al termine delle riprese del film War – La guerra desiderata, non sapeva fino a che punto fosse profeta, e certo non voleva esserlo. Era il 2019 e vista da questa parte dell’Europa la guerra non si affacciava neanche alla soglia del pensiero. Eppure lui capta e mette in scena il magma sotterraneo che porta all’esplosione dei conflitti. Non di quello tra Ucraina e Russia, ma di uno ancora più interno alla comunità europea: un ipotetico conflitto tra Italia e Spagna, del tutto assurdo, innescato da una rissa in un rave di giovani dove scappa il morto, anzi la morta… Da lì un’escalation, come una febbre pandemica inestinguibile, negata da autorità e militari in gioco, ma alimentata in superficie dai media e sotterraneamente dall’insoddisfazione strisciante tra la gente comune per come è ridotto il Paese.

È forse il merito maggiore del film saper portare alla luce questa frustrazione variegata e complessa, in cui agiscono ferite sociali recenti e ferite personali antiche, che si aggrappa alla possibilità di sanarle attraverso la violenza delle armi, prendendosela con il primo capro espiatorio a portata di tiro. È ‘il barista qualunque’, interpretato magistralmente da Giuseppe Battiston, a incarnare questa pulsione di rivincita deflagrante che unisce in modo inestricabile amore e violenza, e che cattura per un momento anche il protagonista culturalmente attrezzato, ma socialmente oppresso oltre il limite (un Edoardo Leo sempre più maturo). E poi c’è la violenza e il disorientamento di quelli che la guerra non la vogliono e dovrebbero avere gli strumenti per controllare le pulsioni psichiche e trovare strade di riconciliazione, ma alla prova dei fatti si dimostrano immaturi, come la protagonista figlia del vice-ministro alla guerra (Miriam Leone) e i suoi amici. Un ritratto folgorante di un Paese, e di una Comunità europea, incapace di discernere tra emozioni interne e pressioni esterne (folgorante la scena finale), così come il desiderio autentico e il bene fondamentale. Davvero occorre una guerra per riuscire a farlo? Chissà perché di questo film, presentato fuori concorso alla Festa del Cinema di Roma e ora in dvd (distribuito da Mustang), non si è sentito parlare…

Anche un film franco-tedesco del 2021 rischia di sfuggire all’attenzione nonostante abbia vinto due premi all’ultimo festival di Berlino. Si intitola Una mamma contro G.W. Bush e racconta la battaglia, questa volta reale, condotta da una madre turca residente a Brema, Rabiye Kurnaz, e dal suo avvocato Bernhard Docke per liberare il figlio 19enne detenuto senza motivo a Guantanamo. Gioca leggero il regista Andreas Dresen nel ritrarre la strana coppia che si trova a combattere su un doppio fronte per avere il rispetto dei diritti umani fondamentali, ma la denuncia è pesante e dovrebbe far riflettere. Da una parte infatti c’è il muro di gomma degli Usa che si autoproclamano portatori di libertà e democrazia e si rivelano carnefici al pari dei cosiddetti barbari; dall’altra – ed è ancora più sconvolgente – c’è un paese europeo che rifiuta di vedere cosa sta facendo l’alleato occidentale ai propri cittadini, e ne presume anzi la colpevolezza nascondendo le prove di estraneità ai fatti! E dovrebbe far riflettere anche che sia dovuta arrivare al potere l’ossa Merkel, dopo il governo rosso-verde, per riportare giustizia e legalità.

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