Non hanno più il pesantissimo tubo catodico e lo schermo curvo: oggi sono super piatte, grandi (molto grandi), in casa occupano un’intera parete e fanno arredamento, soprattutto quando sono accese. La qualità delle immagini si misura non più in migliaia di pixel, ma in milioni (8 milioni per gli apparecchi “4k”, addirittura 32 milioni per la nuova frontiera dell’“8k”) e ciò che si vede sullo schermo è addirittura più nitido di ciò che si vede ad occhio nudo.
Sono cambiati i televisori, ancor più è cambiata la televisione, ovvero tutto ciò che entra nelle nostre case e che in settant’anni (l’inizio delle trasmissioni Rai è datato 3 gennaio 1954) ha cambiato il nostro linguaggio, il nostro modo di vedere le cose, la nostra sensibilità, i riferimenti dello stare insieme, persino l’essere comunità. Una sola rete (“Nazionale”, come veniva chiamata), i programmi che iniziavano nel tardo pomeriggio con la “Tv dei Ragazzi” e finivano prima di mezzanotte con lo spartiacque di Carosello che sanciva il momento dopo il quale i più piccoli dovevano andare a letto.
Un unico telegiornale, alla sera, per portare nelle case ciò che sino allora pochissimi avevano conosciuto e che da quel momento sarebbe stato patrimonio di tutti. L’apertura del Concilio, il volto e la voce del “Papa buono” (“Date una carezza ai vostri bambini”, 11 ottobre 1962); l’omicidio di John Kennedy (Dallas, 22 novembre 1963); lo sbarco dell’uomo sulla luna (20 luglio 1969); la devastazione della Banca dell’Agricoltura (Milano, piazza Fontana, 12 dicembre 1969), la partita tra Italia e Germania, quella del 4 a 3 (stadio Azteca di Città del Messico, 17 giugno 1970). Ognuno può aggiungere il proprio ricordo personale di quella televisione in bianco e nero (le prime trasmissioni a colori arriveranno nel febbraio 1977) che da allora è cambiata in modo radicale e ha contributo a cambiare, in modo radicale, anche le nostre vite.
Non c’è più un’unica rete, il monopolio Rai è durato sino agli Anni Settanta quando sono nate le “tv locali”, diventate poi – grazie a vuoti legislativi e a norme compiacenti – “tv commerciali” a diffusione nazionale. Oggi, grazie al digitale terrestre, possiamo scorrere il telecomando a piacimento e scegliere tra un centinaio di canali. A questi si aggiungono quelli satellitari e – altra novità di questi anni – quelli streaming, quelli che possiamo trovare sul web (quasi tutti a pagamento). Pensiamo alle piattaforme che detengono i diritti del calcio o a quelle che offrono film e “serie tv”: il prodotto televisivo non si vede più solo sul televisore, ma è usufruibile anche sui pc, sui tablet e sugli smartphone. Posso vedere tutto ciò che voglio, come voglio, quando voglio, dove voglio. Al punto che si riteneva inevitabile un inesorabile declino della tv generalista. Che però, almeno per ora, non sembra proprio esserci.
Lo dimostra uno studio fatto dalla società Sensemakers che per il Corriere della Sera ha esaminato i dati forniti da Auditel. Ebbene, il primo riferimento è per certi versi sorprendente perché smentisce l’idea che la televisione sia stata totalmente sostituita da tutti gli altri strumenti di comunicazione: lo scorso mese di marzo, i contatti (almeno un minuto) mensili alla tv tradizionale hanno raggiunto i 53 milioni di individui (il 90 per cento della popolazione). Secondo questo studio, gli italiani guardano la tv per almeno 3 ore e mezzo al giorno. Si tratta ovviamente di una media: c’è chi guarda la tv un minuto e chi la guarda sette ore. Rispetto agli anni precedenti, i dati sono leggermente in calo, soprattutto se si considerano gli effetti della Pandemia (quando si erano raggiunti picchi dovuti alle circostanze), ma viene comunque confermata la tendenza degli italiani a “fidarsi” della tv, sia per quanto riguarda l’informazione, sia per quanto riguarda gli altri programmi, dall’approfondimento all’intrattenimento.
Dallo studio pubblicato dal Corriere, emerge però che il “consumo di televisione” è assai polarizzato: ci sono “forti consumatori” e “consumatori deboli”, due blocchi che numericamente si equivalgono (16 milioni). A questi si aggiunge anche il blocco dei “consumatori medi” che sono circa 20 milioni. Se i consumatori deboli, dopo la Pandemia hanno mostrato un sempre minor interesse nei confronti della tv, i “consumatori forti” hanno, invece, mostrato un alto grado di fedeltà: guardano la tv tutti i giorni, sette giorni su sette, per un consumo medio di 448 minuti al giorno. In pratica, sette ore e mezza. Il trenta per cento della popolazione (i 16 milioni di “consumatori forti”) è dunque responsabile del 66 per cento del consumo totale di tv.
Ma da chi è formato il blocco dei “consumatori forti”? Si tratta di una fascia di popolazione ben definita, soprattutto in base all’età: l’ottanta per cento ha più di 55 anni. Se ne erano già accorti i pubblicitari (quanti sono gli spot finalizzati ai giovani? Sono spariti gli spot per pannoloni ed omogenizzati, sostituiti da quelli per l’alimentazione degli animali. Spopolano, non a caso, le pubblicità di medicine per le persone che hanno raggiunto la mezza età). Ne sono consapevoli soprattutto i politici che sulla Rai hanno combattuto una battaglia senza esclusione di colpi. Non solo per i direttori dei tg, ma anche per la direzione delle Reti e per le conduzioni dei singoli programmi. Nulla di nuovo sotto il sole.
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