Quella diga spezzata e Francesco in ospedale

Nota dell’arcivescovo: La Chiesa di Trento si stringe a papa Francesco, ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma (nella foto Ansa/Sir un cero davanti all’ospedale) per essere sottoposto nel pomeriggio di oggi (7 giugno, ndr) ad intervento chirurgico. “Ci raccogliamo in preghiera per il Papa, perché possa presto superare questa nuova prova. Gli siamo vicini con tutto il nostro affetto più sincero”, sottolinea in una nota l’arcivescovo Lauro Tisi a nome di tutta la Diocesi trentina.

Quello trascorso in sala d’attesa prima di un intervento chirurgico è per tutti un tempo personale, sospeso fra il desiderato sollievo del “dopo” e la tensione incerta del “prima”. E per il Papa ricoverato al “Gemelli”? Sul “dopo”, Francesco ha detto un giorno di temere il risveglio dall’anestesia totale, sul “prima” ci ha mostrato di voler confermare normalmente l’ udienza del mercoledì per rivolgere ancora un’ennesima preghiera per la pace in Ucraina. Aveva visto nella notte in tv le angoscianti immagini della diga “spezzata” di Kakhovka, un altro brutto colpo per chi cerca ancora di aprire spiragli di pace.

Nelle stesse ore papa Francesco raccoglieva anche il resoconto dell’impegnativa missione di pace del presidente della CEI card. Matteo Maria Zuppi. Il suo “faccia a faccia” con il leader ucraino è stato defiito sbrigativamente definito “un fallimento” da alcuni quotidiani per la frase tranciante di Zelenski: “Non sarà un cessate il fuoco a fermare la guerra e a darci la pace”. In verità, la strategia della diplomazia vaticana, ispirata da quell’“osare la pace” che non s’arrende al realismo, punta a testimoniare volontà di ascolto per aprire dei canali di colloquio (anche Mosca prima o poi dovrà accettare l’inviato del Papa!) che risultano autorevoli in quanto neutrali e consentono di ottenere qualche buon risultato almeno per quanto riguarda i prigionieri e i tanti bambini, soprattutto quelli deportati e rimasti orfani.

Non è poco, perché papa Francesco nelle sua stanza di degenza al “Gemelli” terrà il suo pensiero orante fisso alle conseguenze delle bombe sulla popolazione, quello che egli definisce “il dramma umano della guerra”. Parlando con i suoi confratelli direttori delle riviste dei gesuiti diceva a proposito il 19 maggio scorso: “Va benissimo fare un calcolo geopolitico, studiare a fondo le cose. Lo dovete fare, perché è vostro compito. Però cercate pure di trasmettere il dramma umano della guerra… il dramma umano di una donna alla cui porta bussa il postino e che riceve una lettera con la quale la si ringrazia per aver dato un figlio alla patria, che è un eroe della patria… E così rimane sola. Riflettere su questo aiuterebbe molto l’umanità e la Chiesa”. Ad un altro gruppo di gesuiti – quelli incontrati nei Paesi dell’estrema Russia il settembre scorso – Francesco aveva confidato anche la sua preoccupazione per la tendenza a “normalizzare” questo conflitto: “Credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale!”.

Ripescando ancora dai dialoghi riservati nelle sue visite alle comunità dei Gesuiti si trova anche l’insistenza del Papa sulle conseguenze della guerra sull’ambiente naturale: “Non avere cura del creato per me è come idolatrarlo, ridurlo a idolo, sganciandolo dal dono della creazione. In questo senso prendersi cura della casa comune è già «evangelizzare». Ed è urgente. Se le cose andranno così come adesso i nostri figli non potranno abitare più nel nostro Pianeta…” Torniamo allora alle immagini “meditate” dal Papa il giorno del suo ricovero mercoledì 7 giugno: lo squarcio nella diga di Kokhovka ha portato alla nostra mente l’effetto Vajont provocato dall’annunciato pericolo del monte Toc incombente su Longarone nell’ott obre di sessant’anni fa.

Così come l’evacuazione degli abitanti che abitano nelle pianure vicinae a Nova Kokhovka porta a pensare a quanti invece non hanno avuto scampo sotto le colate di fango dei bacini di decantazione di Prestavel. Dobbiamo constatare che le risorse naturali vengono piegate agli interessi strategici (quasi biblico lo scambio di accuse tra i diplomatici russi e ucraini all’assemblea dell’ONU) e sperare contro ogni speranza perché “con la guerra tutto è perduto”. Insomma, la nostra vicinanza a papa Francesco convalescente non può non essere condivisione della sua preghiera per un mondo in cui gli uomini non si sanno riconoscere “fratelli tutti”.

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