L’alluvione che ha devastato gran parte dell’Emilia-Romagna e parte delle Marche non è destinata a costituire un fatto emergenziale che riuscirà a chiudersi in breve tempo. La portata del disastro è molto grande, i problemi della ricostruzione sono molto complessi: si pensi per esempio alla questione del ripristino delle colture agricole soprattutto nel settore della frutta, dove per rimettere i campi in produzione con la sostituzione degli alberi si stimano almeno cinque anni.
Questo autentico terremoto sui bilanci pubblici arriva in un momento molto delicato: le disponibilità del Tesoro e della finanza pubblica sono più che limitate dopo le spese per il contrasto alla pandemia ed a tutto quel che ne è seguito; la capacità operativa delle varie burocrazie è intaccata dalle esigenze di dar corso ai progetti del PNRR. Su quest’ultimo punto già si era in crisi con continui avvertimenti sulla necessità di rivedere una pianificazione fatta più che alla buona, mentre però di revisioni non si ha ancora notizia certa ed è continua la geremiade sulle inadeguatezze delle strutture operative di stato ed enti locali.
Con l’Unione Europea, alle cui casse si potrebbe forse bussare un poco, non siamo in rapporti idilliaci. Non bastassero i giusti rilievi sull’ormai inammissibile mancata soluzione della questione dei balneari (uno stato serio non può rimanere ostaggio di una piccola corporazione) e quelli sulla mancata approvazione del MES (un’impuntatura da bandierine senza fondamento reale), siamo di fronte alla crescita di critiche per l’incapacità italiana di spendere i fondi europei che vengono assegnati al nostro paese.
Gestire in queste condizioni una vicenda come la ricostruzione post alluvione è già di suo un’impresa più che ardua. Teniamo conto che si tratta di un impegno non solo di giustizia verso le popolazioni colpite, e non è poco, ma di occuparsi di una quota rilevante del sistema produttivo nazionale la cui crisi si riverbererebbe su tutto il paese.
A complicare il quadro c’è il fatto che siamo entrati nell’anno pre-elezioni europee (ormai fissate al 9 giugno 2024) e, come ormai si è ripetuto a iosa, si tratta di una prova che si giocherà col sistema proporzionale, per cui tutti i partiti puntano ad accreditare così il loro peso specifico (persino il duo Calenda-Renzi è riuscito a capire che non è tempo di sceneggiate personalistiche, sicché confermano di andare uniti davanti a quelle urne). Cosa significa questo? Due cose.
La prima è che stiamo parlando di interventi che per chi riuscirà ad intestarseli creano consenso, sia negli assistiti, sia nelle imprese a cui verranno affidati i lavori per la ricostruzione. La seconda è che finanziare necessariamente le zone colpite richiederà risorse economiche che andranno a diminuire quelle che di solito si destinano anche agli altri territori. Nel momento del dramma tutti sono disponibili alla solidarietà, non sappiamo quanto lo saranno fra qualche mese.
I partiti sono molto nervosi di fronte a questi scenari, che hanno ben presenti. Intanto perché alcune bandierine andranno messe in cantina o in soffitta.
Continuare a parlare di autonomia differenziata nei termini immaginifici di Calderoli e compagnia diventa molto difficile: già in una situazione normale era arduo trovare i soldi per finanziare un minimo di solidarietà a favore delle regioni più svantaggiate, figurarsi con un bilancio su cui graveranno le spese per la ricostruzione dopo i danni dell’alluvione.
Così andare avanti con le fantasie di certo ambientalismo utopistico diverrà impossibile. Tutti o quasi cercheranno però di cavalcare queste asperità, di raccattare consensi compiacendo i vari populismi, di arrivare alle urne se non con il massimo delle opportunità per sé, con il massimo della delegittimazione e della calunnia verso gli avversari.
Non ci aspetta un bel clima e davvero la sua gestione sarà la verifica su chi fra le forze politiche, sia quelle collocate al governo che quelle che si trovano all’opposizione, è in grado di operare con la competenza e la serietà necessarie.
Purtroppo non ci pare di vedere molti segnali in questa direzione, ma si deve sempre sperare che proprio l’emergenza col suo richiamo alla rilevanza della posta in gioco faccia venir fuori il meglio della classe politica, mettendo almeno al margine i demagoghi e quelli che ragionano di politica come si faceva una volta al Bar Sport e come si fa oggi sui social media e nei talk show.
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