Un tema che caratterizza tutto il biennio di specializzazione, il dialogo. Ne parla don Rinaldo Ottone, docente di filosofia del dialogo]
Il biennio di specializzazione ha normalmente una sua caratterizzazione. L’ISSR “Romano Guardini”, per motivi storici, territoriali, progettuali, ha scelto il tema del dialogo. Così lo tematizza il professor don Rinaldo Ottone, che quest’anno ha tenuto il corso di Filosofia del Dialogo.
Che cosa accade a un bambino cui non è data la possibilità di dialogare con la madre? La domanda appare immediatamente innaturale, ma anche, a suo modo, ingiusta e tendenziosa: perché mai si dovrebbe verificare una cosa simile? non si dovrebbe intuire la risposta senza bisogno di sperimentarla? Così si direbbe; eppure si racconta che Federico II di Svevia volle sapere esattamente che cosa sarebbe accaduto in una simile circostanza. Per la verità, l’imperatore desiderava conoscere quale fosse la lingua originaria dell’umanità; così gli venne l’idea di prendere dei neonati e affidarli a delle nutrici le quali dovevano solo alimentarli, senza però rivolgere loro la parola: la lingua che i piccoli avrebbero spontaneamente parlato avrebbe finalmente risolto la questione del sovrano. Ma i bambini morirono tutti. Quelle piccole vite erano state sacrificate per rispondere a una mera curiosità! E tuttavia, quel tragico episodio conferma drammaticamente quanto il dialogo sia essenziale alla vita dell’uomo: non si viene al mondo semplicemente arrivando in un posto, bensì entrando in una relazione positiva con qualcuno. Oggi sappiamo che la possibilità stessa di percepirsi come un “io” dipende originariamente dall’incontro con un “tu”, e che perfino il tempo e lo spazio assumono valore e consistenza soltanto a partire dall’esperienza concreta del dialogo: per l’uomo, al di fuori della relazione con altri, non esiste un tempo significativo e nemmeno uno spazio degno di questo nome. Eppure si sarebbe portati a ritenere che il pensiero profondo sia favorito dalla solitudine, che l’intelligenza più fervida e acuta richieda l’isolamento, e che la concentrazione della mente rifugga necessariamente la presenza di altri; in realtà, è vero l’esatto opposto: per imparare davvero a pensare e a sentire, a vedere e a vivere, è necessario imparare a dialogare.
Fra coloro che più hanno contribuito a scoprire questo aspetto sorprendente del mondo e della vita, Romano Guardini si segnala per l’originalità e la pertinenza delle sue aperture e delle sue riflessioni. Proprio a lui è stato dedicato il nuovo Istituto Superiore di Scienze Religiose di Trento, il quale, proprio per queste ragioni, ha voluto porre il dialogo al centro del suo interesse.
Abbiamo chiesto ad alcuni docenti dei corsi fondamentali attivati quale rapporto ha la loro disciplina col tema del dialogo e perché può essere importante per formare persone che sappiano “religiosamente dialogare”.
Tiziano Civettini, docente di Sociologia e diacono
La sociologia, nel contesto accademico delle scienze religiose, assume necessariamente carattere dialogico: interroga, osserva, rileva e interpreta il cambiamento in atto. Il prof. don Franco Demarchi (1921-2004), trentino, pioniere della Sociologia della religione in Italia, accusava la teologia di non saper più ascoltare le istanze dell’uomo contemporaneo, che si autopercepiva in frantumi e manifestava il proprio bisogno di interezza; la sociologia poteva aiutare la prospettiva religiosa, la Chiesa e la teologia, a riprendere il dialogo con la modernità. È passato il tempo in cui si attendeva il compimento del processo di secolarizzazione e la perdita di rilevanza della religione nella società e nelle coscienze individuali; ci si è accorti invece che, in modi spesso confusi e contradditori, la ‘spiritualità’ è diventata un fattore pervasivo e determinate in ambito planetario. Peter Berger, nel suo libro I molti altari della modernità, ha descritto questo ‘pluralismo religioso’ e in un’intervista dice: «Il pluralismo ci costringe a discernere cosa sta a cuore alla mia fede, liberandomi dalle false enfasi su quanto è meno decisivo». Parafrasando, potrei dire che la sociologia ci costringe a dialogare, cioè ad avvicinarsi con rispetto al diverso, ragionando criticamente su di sé.
Mirko Pettinacci, docente di Storia della Chiesa
Comprendere: l’impulso che muove e guida lo studio della Storia della Chiesa è questo. Non si tratta di catalogare date e avvenimenti, ma di tentare un’avventura difficile quanto affascinante, ossia, lasciare il nostro tempo, il contesto sociale, le certezze che possediamo ed entrare in contatto con eventi, persone e motivazioni che ci possono sembrare alieni, al primo sguardo, finché non cerchiamo di avvicinarci, di conoscere, di porci in ascolto delle ragioni degli uni e degli altri; di far riemergere alla vita re, papi, popoli e ciò che stava loro a cuore, partendo dalla pergamena sbiadita, dall’epigrafe, dalla leggenda. Da questi viaggi torneremo ogni volta più liberi e più capaci di aprire la mente alla diversità, poiché la comprensione è il miglior antidoto al pregiudizio.
L’insegnamento della Storia della Chiesa si propone come ausilio per la costruzione di questa “macchina del tempo” interiore, che resta sempre personale e diversa per ognuno, come singolare è un cammino di conversione. La storia, pur avvertendo come proprio tale compito, si riconosce insufficiente a risolverne la complessità senza inserirsi nel contrappunto con le altre discipline, voci diverse e distinte, che riescono insieme a tratteggiare un efficace diorama.
Michele Dossi, docente di Filosofia
Poche cose hanno cambiato e continuano a cambiare il mondo come le idee, diceva il grande economista – nonché ragguardevole filosofo – J. M. Keynes. Quello che una persona pensa potrà non contare molto sul palcoscenico della grande storia, ma conterà moltissimo per la sua vita e per la vita delle persone che le sono vicine. È importante esercitarsi a pensare bene. Anche per i credenti, affinché la fede non vada a mai a scadere nella creduloneria. Una delle condizioni fondamentali per imparare a pensare bene è l’esercizio del dialogo. Platone, memore della straordinaria testimonianza dialogica del suo maestro Socrate, ha detto parole insuperate in proposito quando, nella sua Lettera VII, ha rappresentato l’esercizio della filosofia come lo «sfregarsi» tra loro – come pietre focaie – di «nomi e definizioni e visioni e sensazioni» che diverse persone possono mettere in campo nel confronto dialogico, in «confutazioni benevole e discussioni fatte senza invidia». Di qui le scintille che possono accendere la mente e riscaldare i cuori. La filosofia autentica non perderà mai il gusto della discussione e della confutazione, ma dovrà sempre salvaguardare anche il contesto di benevolenza, di generosità, di assenza di invidia entro cui solo si può sviluppare un dialogo fecondo. Le numerose discipline filosofiche previste nel percorso formativo dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose vogliono essere palestre di confronto, di ascolto e di discussione. Perché, come diceva Pico della Mirandola, per essere veramente persone umane si può mancare di «raffinatezza», ma non di «filosofia» cioè di dialogo.
Don Stefano Zeni, docente di Sacra Scrittura
«Dià-lógos è una parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio […
. È il dialogo che consente di passare non solo attraverso l’espressione di identità e differenze, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell’altro, non per farli propri bensì per comprenderli. Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze: il dialogo non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme» (E. Bianchi, L’altro siamo noi, Torino 2010, 14).
L’atteggiamento fondamentale da mettere in campo per entrare in dialogo con la Bibbia è l’accoglienza, come fa Samuele davanti alla chiamata del Signore: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,10). Questo movimento dialogico è il solo che può far passare dal pregiudizio alla precomprensione, dalla chiusura, preclusione e riduzione dell’altro a quello che io so ed accetto, alla relazione, che rende l’uomo capace di uscire da sé senza perdere la propria identità. La Bibbia è la testimonianza più bella di come il logos, la Parola, dà vita al dia-logos, l’incontro di pensieri, parole e culture diverse.
Leonardo Paris, docente di Teologia
La teologia mette al centro la domanda su Dio. Chi è? È qualcuno? Come si comporta? Vuole qualcosa da noi? Ha un qualche pensiero sulla vita di ciascuno di noi? Sembrano forse domande ingenue ma per rispondervi è stata messa in campo per secoli il meglio dell’intelligenza di uomini e donne, filosofi, teologi, cercatori di Dio.
La risposta che il cristianesimo dà a questa domanda vede esattamente un Dio in dialogo. Non un essere lontano e chiuso in se stesso, contento di pensare se stesso e muto, ma invece un Dio che cerca la relazione, un dialogo vero in cui ciascuno dei due – gli uomini e Dio – abbia la possibilità di presentarsi e dire se stesso.
Questo potrebbe sconcertare. Dio può avere qualcosa da dirci ma che cosa mai potrebbe imparare Dio da noi? Perché mai dovrebbe ascoltarci? Il mistero profondo della visione cristiana di Dio, di un Dio che si fa uomo, è proprio questo: un Dio che ascolta, che si apre al diverso e alla parola straniera.
Con un Dio così le nostre parole e le nostre vite acquistano d’un tratto una bellezza nuova e intrigante. Questa in fondo è la bellezza della teologia.
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