“Chiara, mistica e teologa della vita”

Nel decennale della morte della Lubich, l’Arcivescovo sottolinea anche il carisma dell’unità e dell’universalità

“La vita è insieme bellezza e dramma, come nell’evento del Calvario. E Chiara Lubich, da vera discepola di Gesù di Nazaret, ha sperimentato in tutta la sua vita la bellezza del Vangelo e insieme anche il dramma. Questo è tipico dei grandi mistici”. L’Arcivescovo Lauro Tisi ha avviato così in Duomo mercoledì 14 marzo l’omelia nel decimo anniversario della morte, indicando ai tanti focolarini convenuti da tutta la regione l’importanza di valorizzare questa “formidabile interpretazione della vita cristiana che è stata la vicenda di Chiara”. Senza aver frequentato l’università (“anche se ora nel suo nome opera a Loppiano l’università Sofia”), la fondatrice dei primi focolari ci ha insegnato la teologia di Gesù abbandonato: “Chi ama veramente il fratello fino all’inverosimile riesce nell’abbandono ad abbassarsi per far sentire anche nell’abisso la voce di quel Padre che rassicura e sa raccogliere nel suo otre ogni lacrima di dolore”.

Secondo mons. Tisi, nella lettura degli scritti di Chiara si coglie la sua capacità di frequentare insieme strade trinitarie: “Gesù l’ha portata a vedere cosa fa il Padre e quando lei parla del Padre si lascia guidare da questo rapporto intimo e profondo con il Figlio”.

L’Arcivescovo ha osservato come “la vita comunitaria richiede una spogliazione di sé che non è mai a costo zero, nonostante chi pensa che quella dei focolarini sia fatta di sorrisi e di comunione leggera”.

Prendendo spunto dalla presenza all'Eucaristia di altri movimenti e realtà ecclesiali, Tisi ha precisato che anche il carisma dell’unità insegnato da Chiara nel mondo “non è un irenismo all’insegna del vogliamoci bene, ma la capacità d’innamorarsi di Gesù di Nazareth e guardare all’umanità dell’altro, lasciandosi guidare nella concretezza della vita dalla Parola del Padre che raccoglie ogni lacrima”.

La maestra trentina – oggi conosciuta nei Paesi più lontani – per arrivare all’universale è partita dalla storia concreta di una Chiesa particolare. “Senza il vescovo Carlo de Ferrari non ci sarebbe il carisma dell’unità – ha osservato l'Arcivescovo di Trento – come è stato ben riconosciuto in un volume storico lo scorso anno; questo vescovo che con la sua serenità ha difeso il carisma di Chiara sarà ricordato nella storia”.

Ma la nascita dentro una Chiesa locale – così come Gesù che nasce a Nazareth per farsi figlio di tutte le Chiese – “non impedisce a Chiara di essere di tutte le Chiese, fratelli di ogni uomo, costruttori di un mondo unito, dentro l’universalità della Chiesa”.

Ultimo pensiero, infine, a non dimenticare le “notti dello Spirito” di Chiara, partecipazione alla passione di Cristo. “Come altri santi e giganti della fede, Chiara ha avuto il privilegio drammatico di entrare nell’abisso della passione di Cristo, sperimentando l’abisso della morte e insieme della vita”.

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