«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?» Gv 9, 35
Domenica 19 marzo 2023, IV DOMENICA DI QUARESIMA, ANNO A
1 Sam 16,1.4.6-7.10-13, Ef 5,8-14, Gv 9,1-41
Nel cammino quaresimale, questa domenica siamo aiutati a comprendere che nell’incontro con Gesù tutta la nostra persona e la nostra esistenza si illumina, è Gesù a renderci luminosi, facendoci cogliere la realtà dal punto di vista di Dio.
La nostra umana incapacità di leggere i fatti in profondità ci costringe tutti quanti ad immedesimarci nei panni dell’uomo nato cieco. La cecità, nella prospettiva biblica, diventa il simbolo di
un’esistenza oscura fin dalla nascita e che rimane oscura fintanto che non incontriamo il Cristo luce, che ci apre gli occhi. Questa cecità, questa oscurità non è anzitutto morale, non è frutto
cioè dei peccati che uno ha compiuto nel corso della sua vita e men che meno di quelli compiuti dai suoi genitori. Questa cecità di partenza – per dirla col catechismo – è conseguenza del peccato originale: non fa parte del progetto originale di Dio ma è ormai parte della nostra condizione umana ed è l’unica vera grande tara ereditaria che ci portiamo dietro.
La nostra cecità è un dato di partenza che constatiamo quando osserviamo l’ambiguità di ogni visione puramente umana: «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Nell’inganno dell’apparenza cade perfino il profeta Samuele, vi cadono pure i discepoli di Gesù (quando ritengono la malattia conseguenza di un peccato), e vi cadono ancor più i farisei (quando fraintendono i segni che Gesù sta compiendo). Ad un esame di coscienza anche superficiale, ci accorgiamo di cadervi ugualmente anche noi, e di frequente. Basta pensare a quanti giudizi superficiali abbiamo formulato su altre persone, magari anche solo interiormente, ma in ogni modo sbagliando.
Difronte a questa scoperta della nostra umana cecità sta un’altra scoperta che ci apre alla speranza: Gesù Cristo può e vuole vincere la nostra cecità a patto che ci fidiamo di Lui e ci affidiamo a Lui. L’apertura degli occhi avviene solo nell’incontro con Gesù e diventa un itinerario di crescita progressiva nella propria adesione a lui, fino a sfociare nella fede piena e nel riconoscerlo come l’inviato ultimo e definitivo di Dio (a questo allude l’espressione “Figlio dell’uomo”) nel quale si rende presente Dio stesso
(questo esprime il prostrarsi davanti a Lui in adorazione).
La luminosità di Gesù è una nota caratteristica dell’evangelista Giovanni, che, fin dal prologo del suo Vangelo, presenta Gesù come “luce vera che viene nel mondo per illuminare ogni uomo”. L’incontro con Gesù produce quindi questo effetto straordinario per la nostra esistenza: noi diventiamo luminosi, diventiamo capaci di leggere e interpretare la realtà dal punto di vista di Dio, ma anche capaci di diffondere luce a nostra volta e di aiutare perciò altri a trovare il senso della vita nell’aprirsi con fiducia a Gesù. In un certo senso, Gesù rimane nel mondo come luce del mondo proprio attraverso i suoi discepoli, anche attraverso di noi. È questo, del resto, uno dei significati del nostro battesimo, perché a partire dal nostro battesimo anche noi siamo ormai “luce nel Signore” (Ef 5,8).
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