La tradizionale Fiera di San Giuseppe rappresenta un richiamo vissuto ancora con intensità ed interesse sia dagli abitanti delle terre alte sia della città. Un grande evento che si rinnova anno dopo anno grazie anche alla partecipazione dei produttori aderenti a Campagna Amica, Donne in campo e della Federazione allevatori e alla presenza dei grandi formaggi con la Casolara e Trentino di malga. Una fiera che corrisponde ad una festa dove la campagna incontra la città e dove si conferma la vacazione alpina del capoluogo. Di questo ruolo la città di Trento dovrebbe essere maggiormente orgogliosa e consapevole in quanto è la campagna, ovvero la montagna trentina, a chiedere al suo capoluogo di rappresentarla e promuoverla. Questo è avvenuto per Bolzano, dove con Agrialp, la “Fiera agricola dell’arco alpino”, si è saputo unire gli aspetti legati alla meccanizzazione con il pensiero strategico rivolto al futuro della montagna e le esigenze di un grande evento popolare. Su questa linea hanno lavorato assiduamente anche gli operatori veneti con Agrimont, la fiera dedicata all’agricoltura di montagna di Longarone e quelli di Agro Alpin di Innsbruck, il più grande evento di settore dell’Austria occidentale.
La manifestazione trentina rimane sicuramente una pietra miliare insostituibile per il supporto e la promozione dell’agricoltura di montagna, ma è evidente che l’intera provincia dovrebbe interrogarsi sull’urgenza di un collegamento più organico a livello fieristico specialistico, in grado di unire in un unico piano di azione le regioni e le province dell’arco alpino centrale.
In questi ultimi decenni abbiamo assistito alla perdita di centralità sul versante fieristico rurale da parte del capoluogo in favore di Riva del Garda che, non a caso, ospita ogni due anni Agriacma, la rassegna dell’Associazione dei Commercianti delle Macchine Agricole. Parallelamente, sono stati promossi in tutta la provincia una serie di eventi rurali connotati da un apprezzabile profilo tecnico ed espositivo che si propongono come manifestazioni dalla forte marcatura territoriale ma che, proprio per questo, non hanno la forza e la struttura per aprirsi al contesto esterno. Il rischio
che incombe è pertanto quello dell’autoreferenzialità e per evitare questa deriva è necessario pensare ad una manifestazione unica che riconnetta questa provincia ai grandi flussi degli eventi alpini recuperando, anche nel nome, la tradizione di una mostra dell’agricoltura di “montagna”. Unire le forze e la massa critica per fare di Trento e di Riva del Garda un unico punto di riferimento per lo sviluppo dell’agricoltura di montagna all’interno dell’arco alpino meridionale potrebbe pertanto rappresentare un’operazione che consentirebbe al sistema economico provinciale di aprirsi con più coraggio al confronto con i competitor esterni e con i bisogni e le richieste dei consumatori. In questo modo sarebbe possibile unire non solo la progettualità tecnica dei diversi enti fieristici, ma anche le risorse culturali e creative per riconsegnare a questi eventi l’anima contadina e montanara di cui la nostra terra ha ancora estremo bisogno.
Il rischio maggiore che corre la comunità trentina è in effetti quello della perdita del valore e della consapevolezza di “abitare” una regione alpina connaturata al paradigma della qualità e dell’innovazione in risposta agli oggettivi limiti imposti dalla morfologia e dalla natura della montagna.
L’agricoltura rappresenta un libro aperto di esperienza e conoscenza che ci lega alla responsabilità dell’autogoverno senza la quale il Trentino verrebbe omologato alla pianura, perdendo definitivamente sia la propria identità, sia la capacità di competere sul piano tecnico ed economico.
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