Hana tiene d’occhio il forno dove stanno cuocendo le manaqish, alcune sono già pronte e le condisce con olio d’oliva e za’tar, misto di spezie aromatiche. Jasmin l’aiuta preparando l’hummus, i piattini sono piccole opere d’arte. Fahed ha appena finito di pregare e ci mostra un piatto di salsina piccante che andrà a condire il pane appena sfornato. In sottofondo la telecronaca in arabo di una partita di calcio che Mahmoud e Abu Suleiman stanno seguendo con attenzione. E i gridolini divertiti dell’ultima arrivata, la piccola Rabba che Khaled sta tenendo in braccio, facendola dondolare su e giù. Poi c’è Aboudi, quattro anni, che ci mostra lo spiderman che ha appena colorato.
Scene di vita quotidiana a Maso Martini, realtà di co-housing sociale gestita da Kaleidoscopio che si trova a Vigalzano, frazione di Pergine Valsugana e accoglie questa famiglia “allargata” di rifugiati siriani. Sedici persone in tutto, legate tra loro da parentela che, dopo anni trascorsi in un campo profughi in Libano – dove erano seguite dall’Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII – tra il dicembre 2021 e maggio 2022 sono arrivate in Trentino grazie ai corridoi umanitari.
DUE GIOVANI VOLONTARI
Al loro fianco, assieme a due operatrici, c’è anche una coppia di giovani trentini, Silvia Siviero e Francesco Benanti, che hanno scelto di mettersi in gioco come volontari in questa esperienza di condivisione abitativa. “Nel momento in cui si è pensato di attivare un nuovo corridoio umanitario, assieme a Mattia Civico, abbiamo provato a pensare a un progetto che non desse soltanto una casa e aiuti sui bisogni immediati, ma che potesse creare anche un clima di condivisione della quotidianità, soprattutto dei primi mesi in Italia”, racconta Silvia, che dopo la triennale in Studi Internazionali sta conseguendo la magistrale per diventare assistente sociale. “Vivere sotto lo stesso tetto è qualcosa di bello e arricchente, un’opportunità di crescita perché si condividono esperienze e si creano relazioni informali, di amicizia”, continua. “È stata un’occasione che ci si è presentata, quasi inaspettata”, le fa eco Francesco, educatore professionale. “Da una parte c’era la voglia, mia e di Silvia, di condividere la nostra quotidianità, però mettendoci a servizio di questa realtà stiamo facendo assieme qualcosa di bello per noi e per loro”.
VITA QUOTIDIANA
“Condividiamo i pasti anche se tradizionalmente loro ne fanno solo uno, di pomeriggio, e non sempre con orari fissi, e questo ci crea un po’ di problemi”, scherza Francesco, indicando la cucina dove continuano i preparativi. “Ma un piatto per noi lo tengono sempre da parte quando torniamo a casa tardi dopo il lavoro”. “Silvia mi domanda ancora se può prendere le uova dalla nostra spesa quando le mancano, ma io le ricordo sempre che può farlo senza chiedere”, racconta Abu Suleiman, 52 anni, il più anziano dei siriani che vivono a Maso Martini. “Ho sei figli, cinque qui e una ancora in Siria, ma con Silvia e Francesco ne ho trovati altri due”, dice indicando i due giovani volontari che spiegano come, inizialmente, il timore fosse quello di essere visti come operatori h24. Ma questo non è mai successo. “Nella necessità quotidiana facciamo da supporto, è chiaro. Ma siamo diventati amici, parte della famiglia, disponibili ad ascoltare le loro storie, senza domandare o essere invadenti”. Il terremoto di qualche giorno fa tra Turchia e Siria, come titolavamo sullo scorso numero di Vita Trentina, ha gettato lacrime su sangue. “Quel lunedì sera eravamo assieme, arrivavano i primi video sui loro telefoni e ce li mostravano preoccupati perché in Siria vivono ancora alcuni loro parenti e già la condizione era precaria; una tragedia nella tragedia”, ricorda Francesco.
IMPARARE L’ITALIANO
La lingua non è mai stata un problema. Nemmeno nelle prime settimane. “Se c’è la voglia di conoscere e conoscersi, ci si può benissimo capire anche a gesti e c’è il traduttore del telefono. Parlo un po’di arabo, che a volte viene in soccorso”, spiega Silvia che tra il 2019 e il 2020 ha trascorso tre mesi in Libano con Operazione Colomba. Oltre alle lezioni di lingua presso la struttura tenute proprio da Silvia, i siriani seguono anche quelle del centro Eda, alcune ore alla settimana. E, piano piano, l’italiano migliora. “Anche se è difficile impararlo”, confessa Hallum che sorride mentre Francesco ci racconta una delle primissime (e movimentate), notti a Maso Martini. “Hallum era incinta e una sera è venuta a chiamarci allarmata. Abbiamo subito capito e così ci siamo precipitati in macchina all’ospedale. Ci mancava poco che la sua bimba nascesse sui sedili…”.
“MA ORA VORREI IL LAVORO”
Quando hai alle spalle un vissuto drammatico che non si può certo cancellare in pochi mesi, vitale è trovare sbocchi esterni alle quattro pareti del Maso: uscite, gite fuori porta, nuovi rapporti personali. E se tornare a casa, almeno nel medio periodo, resta un’utopia, allora la ricerca del lavoro può diventare un pensiero fisso. C’è chi lo ha trovato, come Hani, che lavora in un panificio locale come pasticciere, facendo fruttare l’esperienza maturata negli anni scorsi in Libano. Mahmoud, 32 anni, arrivato otto mesi fa in Italia, invece, non vede l’ora di presentarsi al colloquio fissato nei prossimi giorni a Trento. “Ho fatto il macellaio per vent’anni in Siria e in Libano, certo è un po’ diverso perché lì non si macellano maiali e mucche. Speriamo, per me è davvero importante”.
SEPARAZIONE
“È stato bello perché eravate assieme a noi, è stato bello mangiare insieme, stare insieme”. Usa il passato Hallum perché, da qualche giorno, assieme al marito e ai due figli, ha iniziato il trasloco in un appartamento a Trento. Anche Silvia e Francesco, a breve, libereranno la loro stanza. Ma l’accoglienza continua. Dal 2019, infatti, le sei stanze di Maso Martini, accolgono per periodi temporali limitati situazioni diverse, rispondendo a bisogni abitativi ma creando le basi per costruire la propria indipendenza. E continueranno a farlo. “Non è semplicemente un’affittacamere ma un luogo dove si cerca di creare opportunità di crescita, una coabitazione che vuole abilitare le persone a una maggiore autonomia, un accompagnamento educativo”, dice l’operatrice Alice Piffer, altro punto di riferimento all’interno del co-housing. “Un microcontesto all’interno del quale però si possono creare occasioni di incontro, aprendosi alla comunità, facendoci conoscere e creando occasioni per connettersi con l’esterno”.
Le due e mezzo, seduti a tavola, la colazione per i siriani, per noi buoni trentini un pranzo che “tira” verso la merenda. Profumo di pane caldo e spezie, anche il gusto è ottimo. “Sahten u hana”, buon appetito! Anche questa è accoglienza.
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