“Quella del 3 febbraio 1998 è la data che più è rimasta impigliata nella mia memoria”. Non la dimenticherà mai don Renzo Caserotti, allora parroco di Cavalese, che celebrò anche la Messa di suffragio denunciando “una mentalità predatrice arrivata anche da noi, secondo la quale la vita degli altri non vale niente”. Accetta di parlarne a Vita Trentina, a pochi giorni dal suo rientro al servizio pastorale a Malè, dopo un periodo di malattia.
Come racconta il giorno del Cermis ai giovani della val di Sole?
Mi trovavo nel mio ufficio parrocchiale a Cavalese. Erano da poco passate le 15 quando ho sentito il rombo di un aereo che proveniva dal fondo valle e, subito dopo, un’accelerazione impressionante. In quei pochi secondi quel jet dell’aviazione USA, che volava a bassissima quota in spregio ad ogni regola del volo,andò a impattare la fune che reggeva la funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina. Un volo di 80 metri e un incubo inimmaginabile per le venti persone a bordo. Qualche minuto dopo, il sibilo della sirena. Mi precipitai fuori . “Che cosa è successo ?” chiesi alla prima persona in strada. “È caduta la funivia del Cermis”, mi rispose con un filo di voce. Mi sentii raggelare. Accorsi sul luogo della tragedia, oltre l’Avisio: la cabina della funivia era schiacciata, sangue sulla neve e un silenzio impressionante. Tutti morti.
Una scena sconvolgente, come ci raccontarono i soccorritori…
Quella scena poi ha accompagnato anche me per tante notti insonni. Appena arrivato non ero capace di staccare lo sguardo da quella cabina. Chi erano quei morti? Da dove venivano? Erano turisti molti, lo si sapeva, ma c’ erano anche persone del paese, della Valle? Pian piano in serata si iniziò a dare loro un nome. Quasi tutti stranieri, di diversi Paesi europei, tranne il macchinista Marcello Vanzo di Masi e due signore di Bressanone. Sono rimasto lì fino a quando le salme sono state portate all’ospedale di Cavalese. Nella notte e e il giorno dopo sono arrivati i familiari per il riconoscimento. Sono rimasto impressionato dalla loro dignità in quei momenti atroci e anche dalla fede di una famiglia polacca a cui erano morte due persone. Alcuni familiari li ho rivisti negli anni successivi ed ho tenuto in particolare il rapporto con una famiglia olandese che ha perso una figlia.
Che cosa la spinse nell’omelia della Messa contro “chi ha depredato i nostri cieli” e “i Pilato che si sono lavati le mani e non hanno risposto alle giuste richieste”?
Ho usato parole forti, alzando la voce, perche quando si era alzata diverse volte la voce della Valle per protestare nei confronti di diversi voli a bassa quota, al di fuori di ogni norma, nessuna autorità competente l’ aveva presa in considerazione. Le responsabilità erano a più livelli, americane soprattutto, ma anche italiane. E invece, subito, è iniziato lo scaricabarile!
Perché, don Renzo, lei ha parlato del Cermis 1998 come “doppia ferita”?
La prima ferita è la tragedia assurda, che si poteva benissimo evitare se ognuno si fosse assunto a tempo debito le sue responsabilità. Ma poi il processo – celebrato negli Stati Uniti – ha aggiunto alla prima una seconda ferita: nessuno è stato riconosciuto colpevole, né i piloti, né altri. L’unica colpa attribuita ai piloti è stata quella di aver distrutto la videocassetta che riprendeva tutto il volo, compiuto ad una quota bassissima. Una grande ferita non solo per le vittime e i loro familiari, ma per tutta la valle, il Trentino, l’Italia , l’Europa, il diritto internazionale. Una presa in giro piena di arroganza e tracotanza.
Si parlò, allora, di una tragedia “europea”. E oggi?
Sì, anche per il modo sconcertante con cui si è svolta, questa vicenda ha avuto un forte impatto mediatico, anche a livello europeo. Hanno certamente contribuito a tenerne viva la memoria anche i lavori teatrali e qualche libro. Oggi però registro il fatto che in Trentino le generazioni del nuovo millennio non hanno mai sentito parlare di questa vicenda, né a scuola, né altrove. Lo constato con rammarico
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