Si chiudono le porte, ma Dio non ha confini

Linea di demarcazione muro di Berlino

Vale non solo per l’Est europeo: riuscire a capire quanto sta accadendo nelle Chiese e nelle società, oggi, non è facile. La complessità parte già dal linguaggio. Siamo sempre più coinvolti in sentenze categorizzanti, che separano e dividono: bianco o nero, bene o male, dentro o fuori, addirittura si cerca di distinguere ciò che è violenza e ciò che non lo è.

Ma non sempre (forse mai) si può ragionare così. Sicuramente, non oggi. Le informazioni, sempre parziali, e i sentimenti, gli slogan, le emozioni, comprese le relazioni umane, si abbandonano sovente alla voce della pancia. Dimenticando la storia, le storie.

Ma quanto sta accadendo nell’Est Europa è talmente intricato e confuso, talmente connesso ad infinite vicende storiche, che anche solo in apparenza ogni categorizzazione non può che saltare. Dobbiamo cominciare – anche se apparentemente è tardi – a leggere gli interstizi, le sfumature, gli intrecci che non sempre fanno parte della narrazione. Lo status quo del cosiddetto mondo cristiano non sta più in piedi.

Le difficoltà di comunicazione del passato, i pregiudizi coltivati da secoli, le conoscenze parziali, la non volontà di comprendersi, da troppo tempo ci hanno assuefatti a un noi e loro, cristiani e mondo, cattolici e altri. È bastato l’accenno della caduta del muro del 1989 (nella foto la linea di demarcazione) per iniziare a sognare altri tempi e altre relazioni. Un sogno, appunto. Perché avvenuto troppo in fretta, forse colpa anche dell’emotività del momento.

L’abbiamo visto con il territorio dell’ex Jugoslavia, lo stiamo vedendo ancora nei Balcani; oggi dall’Ucraina alla Siberia la vastità non è solo geografica. Troppo è avvenuto senza un autentico concorso di popolo, senza una comprensione di ciò che stava accadendo, senza un accompagnamento culturale. Alcune istituzioni locali, a partire dalle Chiese, non sempre hanno partecipato a questa evoluzione della comunità, a questo superamento dei confini. Come se, cadute le barriere per un’azione necessaria quasi solo per un’economia transnazionale, gli apparati istituzionali, di contro, le avessero innalzate ancor più alte. Ed oggi ne cogliamo i frutti: potenti che parlano a nome di interi popoli, ma solo per convenienza senza possibilità di replica; Chiese che faticano a ricomprendersi come sale e non come pasta; popoli disorientati, trascinati da onde emotive di patriottismo che, ancora una volta, in barba alla storia, ricompattano Dio e patria.

La realtà dell’Est Europa, con diversa intensità rispetto alla tradizione occidentale, ha continuato a saldare l’identità nazionale nel vissuto della fede, talvolta erigendo veri muri di separazione laddove diventava difficile identificare il sale e la pasta. Tutto sembrava coincidere col tutto. E così le frontiere degli Stati potevano diventare anche i confini di Dio, rimpicciolendo il Mistero per trasformarlo in uno scudo. Certo, l’abbiamo vissuto tutti, senza distinzione. E forse nessuno l’ha ancora rielaborato. Il pericolo di oltrepassare i confini ha sempre preoccupato i poteri, civili ed ecclesiali, perché avrebbe consentito nientemeno che sbarrierare Dio.

Oggi, paradossalmente, è solo una parte di popolo – là dove gli è concesso di esserci e di pensare – a chiedere di superare gli ostacoli. E aiutare a far emergere anche questa diversità di pensiero, questa varietà di opinioni, persino a cogliere il dissenso, che esiste – e che è apparso anche tra le fila delle Chiese dopo alcune forti prese di posizione dei vertici – aiuterebbe a non identificare sempre il male con le scelte di tutti, o, peggio, con l’indifferenza o la delega all’autorità.

Ci è difficile comprendere un’istituzione ecclesiale ancorata fortemente ai confini nazionali, perché per sua vocazione, Chiesa è comunità senza confini. L’identificarsi dell’etnia – sia essa slava, russa, latina, ucraina, serba, greca – alla Chiesa, favorisce una fortezza identitaria che di conseguenza offre l’immagine di un organismo chiamato a difendere i confini, semplicemente perché a quel punto diventano gli stessi confini di Dio. E la difesa può assumere i toni stabiliti, compresi quelli violenti.

Le sfumature, gli intrecci, gli altri percorsi possibili vengono ignorati, a partire da quelli che avevamo scoperto nell’89; gli interstizi vengono chiusi per impedire una lettura autentica della storia e del futuro, attraverso martellamenti ideologici lontani da qualsiasi realtà umana e tanto più cristiana. E così una Chiesa, di fronte alla mutazione sociale, contrariamente alla sua vocazione, si ritrova a chiuder porte. Se non vogliamo ripetere la storia degli ultimi tratti del ventesimo secolo, oggi va sradicato non solo l’armamentario che sta sotto i nostri occhi.

Parlare di pace non basta, anzi, persino l’adesione formale ad alcuni proclami potrebbe esser svilente, se non cambiamo metodo: va sradicato l’odio, la vendetta, il pregiudizio, l’ignoranza, in nome di un futuro possibile che non potrà più essere appannaggio di un popolo solo, isolato, centrato su se stesso. E questo – non c’è via di scampo – è possibile solo attraverso un processo culturale, un costante processo educativo, dove ogni Chiesa, se vuol sopravvivere, deve trovare il suo senso a partire dalla sua autenticità in una storia che la pone non più come un baluardo ma come esperienza in grado di accompagnare il tempo. “Nel mondo, ma non del mondo”: così all’inizio venivano identificati i cristiani, che proprio nella loro quotidianità, lontana da qualsiasi apparato di potere, aveva il sapore del sale. E insaporiva la pasta tanto da renderla interessante, di senso.

In gioco, oggi, sta il futuro. Non vorremmo mai che tra qualche anno i nostri figli – che spesso i confini non sanno nemmeno che cosa siano – si vergognassero non tanto dei nostri proclami quanto delle nostre scelte.

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