Una proposta per il riconoscimento internazionale del lago di Garda dall'incontro del 9 giugno fra le quattro diocesi
Il rettore di Brescia, Tira: “Bisogna anche avere il coraggio di abbattere”
Vi si affacciano 24 Comuni e vi si gettano vari corsi d'acqua, appartiene a due diverse Regioni (Veneto e Lombardia) e ad una Provincia autonoma (Trento), ma il lago di Garda è un patrimonio naturale indivisibile. Per dirla con Papa Francesco, una “casa comune” da gestire come un ecosistema in equilibrio, affinché un interesse non prevalga sull'altro: anzi, può diventare un prototipo di salvaguardia ambientale. Al punto da poter essere riconosciuto come uno dei siti dichiarati dall'Unesco “patrimonio dell'Umanità”. La proposta è uscita venerdì 9 giugno dal municipio di Limone sul Garda dove le diocesi “interessate” di Brescia, Verona, Trento e Mantova (attraverso il Mincio, emissario del Garda) hanno dedicato un'intera mattinata alle “attese di oggi e alle prospettive future” dell'antico Benaco.
E' stato il rettore dell'Università Cattolica di Brescia, il prof. Maurizio Tira, a lanciare l'obiettivo del marchio Unesco (finora i siti sono 962 nel mondo, altri 1544 sono in fase di valutazione) come opportunità per fare un percorso condiviso di “custodia” e valorizzazione delle specificità del più grande lago italiano. Da buon ingegnere ambientale (residente a Desenzano, fra l'altro), il prof. Tira ha osservato che questa prospettiva farebbe del lago un laboratorio di rilievo mondiale, esempio del concetto di “sviluppo sostenibile“ coniato giusto 30 anni fa.
L'avvio formale della procedura per raggiungere il riconoscimento Unesco potrebbe “costringere” tutte le realtà interessate (dalla Comunità del Garda ai Comuni, alle province, alle realtà ecclesiali, culturali e turistiche) ad un impegno finalmente comune, ben oltre le politiche settoriali . Già in passato non sono mancati richiami alla promozione unitaria del “bene lago” (attraverso la Comunità e l'ente di promozione) e le stesse Chiese si sono ritrovate già in cinque occasioni, fin dall'Anno Santo del 2000 e dall'anniversario vigiliano del 2001. Purtroppo il cammino si è fermato, o meglio, subisce via via accelerazioni legate però ai singoli territori, mentre il dibattito suscitato dalla proposta Tira ha evidenziato la comunanza di obiettivi: la protezione del paesaggio e dell'identità culturale, la prevenzione dei rischi legati all'eccessiva antropizzazione, la conservazione di quella che rimane – come sanno bene i Bim della zona – una risorsa improducibile: l'acqua.
I vescovi, che avevano richiesto per bocca del pastore di Brescia Luciano Monari quel “sussulto di coscienza” provocato dalla Laudato Sì', hanno ascoltato e preso appunti, “benedicendo” però la prospettiva unitaria.
Che deve prevedere – lo si è capito anche nel dibattito – scelte coraggiose. Superare la frammentazione amministrativa in primo luogo, ma riuscire anche a “stringere” i vari vincoli ambientali, troppo spesso aggirati dai tempi della legge Galasso. E' vero che spesso ci si trova a fare i conti con proprietà private, ma Tira ha messo in luce la potestà pubblica del “ius aedificandi”, cioè la possibilità di edificare deliberata dagli enti pubblici. A proposito il rettore di Brescia ha affermato che bisogna anche avere “il coraggio di demolire” e bisogna coltivare la fiducia che la cementificazione non è irreversibile. Rispetto ai megaparchi divertimento della riva sud osservava che “potevano essere collocati anche in altre zone meno pregevoli” e riconosceva che il turismo può essere orientato con strategia opportune verso scelte più sostenibili.
Più che nelle leggi vari interventi hanno riposto fiducia nelle iniziative dal basso delle comunità locali, da quella cultura del territorio e delle sue tracce (anche religiose) che richiama un turismo tutt'altro che “mordi e fuggi”. Se è vero che “la bellezza salverà il mondo”, e anche il Garda.
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