Sono passati quasi tre mesi dall’uccisione della giovanissima Mahsa Amini per mano della Polizia Morale iraniana. E non vi è stata giornata in cui la protesta della generazione Z si sia fermata. Nel frattempo, i morti (soprattutto studenti) hanno superato il numero di 400 e gli arrestati l’allucinante cifra di 18 mila.
Mentre scriviamo è in corso uno sciopero di tre giorni in tutto il paese e non è quindi possibile sapere quale ne sarà il risultato in termini di decessi e di persone gettate nelle terribili carceri degli ayatollah.
Dopo un falso messaggio di allentamento delle rigidissime regole teocratiche sull’uso costante del velo (lo hijab) da parte delle donne, dal governo del super-integralista Ebrahim Raisi è partito l’ordine alle milizie armate e alla polizia di reprimere con tutti i mezzi la rivolta e ai giudici di procedere con condanne a morte per i “terroristi e nemici della patria”. Solo che questa volta è più difficile per il potere iraniano attribuire la colpa a influenze esterne, a cominciare dal “satana” americano e da Israele. La rivolta odierna è troppo diffusa e prolungata per potere utilizzare l’arma del nazionalismo e della minaccia esterna come ragioni per intervenire duramente contro la propria popolazione.
Una protesta violenta vi era stata anche nel 2019 a causa dell’aumento del prezzo dei carburanti. Ma allora era stato facile dare la colpa alle sanzioni economiche e all’influenza del satana di Washington. In effetti i disordini erano durati solo tre giorni, anche se il numero dei morti, circa 300, avevano messo in luce la violenza del regime.
In questi giorni, o meglio mesi, stiamo invece assistendo ad una ribellione che sta mettendo in forse uno dei pilastri su cui si è basato fin dai primi giorni, dopo la rivoluzione del 1979, il potere degli ayatollah religiosi: l’obbligo del velo. La protesta non riguarda solo le donne, ma ha in messo in moto una maggioritaria volontà popolare di mettere la parola fine a questa assurda teocrazia che con la scusa dei dettami religiosi ha imposto un potere dittatoriale sull’intera società.
A “ribellarsi” non sono solo le donne, ma gli studenti, gli universitari e più recentemente gli operai che hanno occupato alcune fabbriche in sostegno ai giovani che continuano a morire.
Lo slogan più diffuso fra ribelli è “donne, vita e libertà” in un’ottica di un nuovo sistema politico che abbia come proprie basi il laicismo dello stato e la democrazia. Insomma, una protesta nuova e anti-sistema, come si direbbe da noi.
Tutto ciò è anche aggravato dal persistere di un marasma economico che gli ayatollah non riescono a gestire. Insomma, sembrerebbero esistere tutte le condizioni per un collasso del regime integralista. Ma è bene non illudersi per varie ragioni.
La prima è che siamo in presenza di un potere dittatoriale che è fortemente sostenuto da quello militare, composto dai Guardiani della Rivoluzione e dai Pasdaran. Organismi che solo parzialmente sono militari poiché gli ayatollah, per tenerli strettamente legati e fedeli, hanno messo nelle loro mani importanti settori dell’economia e dell’industria iraniana.
La seconda ragione è che nei regimi autocratici e dittatoriali il rovesciamento del potere non avviene quasi mai per una rivolta di popolo. Un popolo per di più privo di un leader riconosciuto, anche perché coloro che vorrebbero esserlo vengono rapidamente messi in galera.
L’unica speranza di cambiamento dovrebbe manifestarsi all’interno dell’establishment al potere, se i cosiddetti moderati, che pure esistono, avessero la forza di imporsi all’ala radicale. Ma ciò non è facilmente prevedibile.
Né, e questa e la terza ragione, un aiuto potrebbe venire dall’esterno poiché si risveglierebbero i sempre utili slogan di difesa della patria. Quindi l’occidente esprime simpatia per la protesta, ma non può andare al di là di un sostegno morale.
Per di più l’Iran è oggi strettamente legato a tutti i regimi autocratici anti-occidentali, che per loro interesse sostengono a spada tratta il governo di Teheran. Vale per la Russia che riceve dall’Iran le armi, droni e missili, da usare contro gli ucraini e che in aggiunta ottiene suggerimenti e aiuti per scavalcare le sanzioni americane e europee sul petrolio. Discorso da estendere anche alla Cina, che di fatto lenisce le difficoltà finanziarie iraniane acquistando a man bassa il petrolio rifiutato dagli europei.
Un Iran, poi, sempre più forte nella regione e pronto a cogliere il ritiro dell’Occidente dal Medio Oriente per riempirne i vuoti lasciati alle spalle: dalla Siria al Libano, fino allo Yemen.
Per tutte queste ragioni i ribelli iraniani si trovano in uno stato di profondo isolamento e solitudine e solo la loro incredibile forza li mantiene ancora in grado di sfidare il regime, che per la prima volta è davvero minacciato alle sue fondamenta. Chissà che prima o poi, a forza di picconate dal proprio popolo, non arrivi il momento del tracollo interno della teocrazia di Teheran.
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