All'illuminazione dell’albero, venerdì 9 dicembre, erano presenti 400 trentini accompagnati dal vescovo Tisi e dal governatore Rossi
Ancora una volta, nel tempo dell'Avvento, la Città del Vaticano accoglie un omaggio della comunità trentina. Viene dalla val Campelle il grande albero di Natale che, accanto al presepe donato dalla comunità maltese, si erge in piazza San Pietro. A consegnarlo al Papa, lo scorso venerdì, il vescovo Lauro Tisi e il presidente Ugo Rossi, insieme a una delegazione di 400 pellegrini trentini, perlopiù valsuganotti: presenti, tra gli altri, alcuni sindaci della Bassa Valsugana, i vigili del fuoco volontari che hanno aiutato nel trasporto a valle, e i ragazzi dell'istituto alberghiero di Rovereto e Levico Terme che hanno cucinato un dolce (zelten) donato al Papa.
“L’albero invita a vigilare e custodire – ha detto il vescovo Lauro nel suo saluto a Papa Francesco -, come Lei ha richiamato nell’enciclica Laudato Si’, quello stupendo dono che Dio ci ha fatto con tante bellezze naturali, patrimonio della nostra terra”.
E alle bellezze del Trentino ha fatto riferimento il Papa stesso, nel suo saluto ai donatori dell'albero e del presepe riuniti in sala Nervi, dopo la Messa nella basilica di S. Pietro. L’abete rosso, ha ricordato Francesco, “proviene dai boschi di Scurelle, ai piedi della catena montuosa del Lagorai, contornata da un’incantevole natura, con fiori, piante e ruscelli cristallini che costeggiano i sentieri. La bellezza di quei panorami è un invito a contemplare il Creatore e a rispettare la natura, opera delle sue mani. Siamo tutti chiamati ad accostarci al creato con stupore contemplativo”.
Il presepe è opera di un artigiano di Gozo, Manwel Grech, e riproduce il paesaggio maltese; “è completato dalla tradizionale croce di Malta e dal “luzzu”, tipica imbarcazione maltese, che – ha sottolineato il Papa – richiama anche la triste e tragica realtà dei migranti sui barconi diretti verso l’Italia”. Nella loro esperienza di sofferenza, ha suggerito il Papa, “rivediamo quella del bambino Gesù, che al momento della nascita non trovò alloggio”. Così il presepe, quello in piazza S. Pietro come quelli allestiti nelle chiese, nelle case e in tanti luoghi pubblici, “sono un invito a far posto nella nostra vita e nella società a Dio, nascosto nel volto di tante persone che sono in condizioni di disagio, di povertà e di tribolazione”.
Un richiamo ripreso anche da mons. Tisi e dal presidente Rossi durante la cerimonia in piazza, nel pomeriggio, con l’inaugurazione del presepe e l’illuminazione dell’albero, accompagnata anche dal coro Lagorai di Torcegno. Rossi ha fatto presente l'impegno che portano questi due simboli: quello di “ricostruire questa idea di Europa ferma, salda, fiduciosa nei propri valori e nelle proprie tradizioni, ma anche un'Europa che sappia accogliere, che sappia integrare, e che non giri la testa da un'altra parte quando si presentano le sfide che persone che vogliono venire nel nostro continente ci pongono davanti tutti i giorni". Il vescovo Lauro ha ricordato la provenienza dell’albero dalla Valsugana, “terra che, storicamente, ha vissuto, più di altre, la dura realtà dell’emigrazione. Anche quest’albero è, in fondo, un testimone secolare di chi, non senza grande sofferenza, ha dovuto staccarsi dalle proprie radici per rintracciare terreno fertile altrove. Quest’ora della storia ci ripropone, in forma drammatica, la provocazione dei migranti. L’albero, solido legame alla terra, ci aiuta dunque a pensare alle nostre sorelle e ai nostri fratelli, costretti a lasciare la loro terra. L’albero è visibile anche a distanza. La luce che esso porta, qui come ogni albero vestito a festa, ce lo fa così immaginare come un faro. Il segnale di una presenza, di un approdo sicuro”. “L'augurio reciproco – ha concluso il vescovo – “è di tenere viva questa luce”: “Dio stesso, che viene a noi come bambino, ci chiede di accenderlo ed essere, noi per primi, un grembo accogliente per Lui, per le nostre sorelle e i nostri fratelli”.
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