Sarà perché l’Italia non parteciperà, forse per un’inconscia forma di protesta, o perché giocare in inverno toglie tutto il fascino delle “notti magiche” estive, ma i Mondiali di calcio del Qatar, al via il prossimo 20 novembre, non scaldano il cuore dei calciofili italiani. Non sono però soltanto le ragioni sportive a scatenare questo insolito disinteresse verso la Coppa del Mondo, e non solamente nel nostro Paese: è a livello globale che, avvicinandosi al fischio d’inizio, aumentano polemiche, critiche e proteste per una manifestazione offuscata dalle ombre della corruzione e del mancato rispetto dei diritti umani, e macchiata dal sangue delle migliaia di lavoratori morti durante la costruzione degli impianti che la ospiteranno.
UN MONDIALE DI POLEMICHE
La scelta del Qatar ha fatto discutere da subito, quando nel 2010 la FIFA assegnò il Mondiale 2022 al Paese mediorientale, nonostante la sua inesistente tradizione calcistica, la mancanza di stadi e un clima caratterizzato da temperature proibitive, che hanno reso necessario lo spostamento del torneo ai mesi invernali, all’interno di stadi anti-ecologici dotati di aria condizionata.
Alle polemiche per la decisione, con accuse di corruzione mai del tutto confutate, sono seguiti gli allarmi per il trattamento subito dalla manodopera impiegata nella costruzione degli stadi. In gran parte migranti provenienti da Bangladesh, Nepal e India, secondo i rapporti di Human Rights Watch e Amnesty International, i lavoratori sono stati sottoposti a turni insostenibili, precarietà estrema e salari miseri, per non parlare delle migliaia di morti – 6.500 secondo un’inchiesta del britannico Guardian – e feriti sul lavoro.
E neppure sul fronte interno il Qatar brilla per il rispetto dei diritti fondamentali: la monarchia ereditaria governata dal 1825 dalla famiglia reale Al Thani è da anni sotto osservazione di diverse ONG per la carenza di libertà di espressione e le sue leggi, basate sulla sharia, che discriminano e perseguitano donne e minoranze.
UN CALCIO POPOLARE ALLA FIFA
Davanti a tali problematiche, anche il mondo del pallone, sempre restio a prendere posizione sui temi sociali, sta iniziando a farsi sentire. Persino i rappresentanti di squadre che parteciperanno al Mondiale come l’Australia o la Danimarca hanno denunciato cosa avviene in Qatar, annunciando contromisure almeno simboliche, mentre alcune città francesi hanno deciso di non installare gli abituali maxischermi per le partite. In Italia, per ora, sono poche le voci che si sono levate sull’argomento, se non quelle provenienti da una dimensione di calcio “popolare” come, a Trento, la realtà di Intrecciante. La squadra multietnica e inclusiva nata da un progetto della Uisp, che milita nei campionati amatoriali, ha infatti deciso di aderire, con circa 50 compagini di tutta Italia, all’appello “#BoycottQatar2022, un calcio (popolare) alla FIFA”.
“I Mondiali in Qatar sono ciò che il calcio non dovrebbe mai essere: un enorme business costruito con il sangue e lo sfruttamento degli ultimi”, si dice nel comunicato, che denuncia “il vero volto del calcio business: i diritti umani messi in secondo piano, dando carta bianca a un Paese che ha più volte violato i diritti fondamentali delle persone LGBTQ+ e dei migranti; ha escluso le donne dalla quasi totalità degli sport; non ha regolamentazioni su lavoro e salari; ha dimostrato di non essere attrezzato per un evento di tale portata, iniziando una massiva ed ecocida costruzione nelle zone desertiche del paese”.
CONOSCERE, PER PRENDERE POSIZIONE
“Guardando a cosa stavano facendo tante realtà simili alla nostra, che fanno del calcio sociale la loro missione, abbiamo deciso di organizzare un momento con i nostri giocatori, ritagliando una mezz’ora dall’allenamento per parlare di ciò che, secondo le associazioni attive nella difesa dei diritti umani, c’è dietro questo evento, ovvero condizioni di lavoro indegne e sfruttamento dei lavoratori, per lo più migranti”, ci racconta Serena Endrizzi, presidente di Intrecciante: “Abbiamo ritenuto importante far sì che, quando i ragazzi si troveranno davanti alla tv per vedere le partite, sappiano cosa è accaduto, per poi decidere liberamente se continuare a seguire i Mondiali o decidere di boicottarli”.
Tanti giocatori di Intrecciante sono a loro volta migranti, ed è forse anche per questo che, prosegue Endrizzi, “sono sempre contenti che ci sia un’attenzione a certi temi, che una squadra come la nostra si faccia portavoce di questi argomenti, andando oltre al calcio giocato per approfondirli, come avevamo fatto anche allo scoppio della guerra in Ucraina”.
L’obiettivo, oggi come allora, è quello di creare ed ampliare il senso critico, dando elementi e informazioni certe, perché, conclude la presidente di Intrecciante, “una realtà come la nostra ha la responsabilità di parlare ai giovani, ai ragazzi arrivati da poco in Italia: ci sentiamo addosso anche il ruolo educativo dello sport, e non potevamo ignorare un evento come questo, di portata mondiale”.
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