Prendersi cura dell’altro è vivere. Con lo stile di chi “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”
La carità si accende con la testimonianza dei cristiani che amano. Il popolo mescolato che marcia per la Pace da Perugia a Roma. E accogliendo l’avvertenza di don Lauro alla veglia missionaria: Abbiamo ascoltato racconti di Vangelo vissuto. Come mai le nostre comunità hanno perso l’afflato missionario? Perché la missionarietà non la vediamo in cima alle nostre agende? Perché non decolla? È perché non amiamo la libertà. Viviamo con la nostalgia delle cipolle di Egitto. Odiamo la libertà. La schiavitù d’Egitto non ci è stata tolta dal cuore. Come vivere con le mani legate a quelle degli altri? La gente dei barconi che attraccano ha più speranza. La terapia c’è: è la sorgente della Croce. Quando non abbiamo niente da difendere. La Chiesa che soffre è feconda. Togliere l’Egitto dal cuore. Chiamati a frequentare la sorgente della libertà. Prendersi cura dell’altro è vivere. Esultare perché ci sono gli altri. La missione parte dal Dio legato. Andare da uomini liberi. Incontrare l’umanità di Gesù.
“Solo chi brucia dentro, può accendere il fuoco degli altri” (S. Agostino). Il quarto capitolo di Amoris Laetitia di P. Francesco ci svela l’inno dell’amore di Paolo: “La carità è pazienza, atteggiamento di benevolenza, cioè "fare il bene", guarendo l’invidia (“l’amore fa uscire da noi stessi, ci porta a rifiutare l’ingiustizia”), senza vantarsi o gonfiarsi (‘che fa perdere il senso della realtà), amabilità (“la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”)… Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Parla di una totalità. Perdono, rallegrarsi con gli altri. Fiducia (“riconosce la brace che arde ancora sotto le ceneri”). Speranza (“non dispera del futuro”). Resistenza (“saldi nel mezzo di un ambiente ostile, resistenza dinamica e costante”). L’amore di amicizia si chiama carità, quando oggi “tutto esiste per essere comprato, posseduto e consumato, anche le persone”.
Alcune parole che Gesù diceva alle persone: "Coraggio, figlio!", "Grande è la tua fede", "Alzati!", "Va’ in pace", "Non abbiate paura".
Le comunità cristiane oggi vivono un tempo di veglia missionaria (e di sveglia), di chiamata, di condivisione, di uscita, di aspettativa, di incertezza nel camminare. Vegliare, nella notte, è anche un tempo di passaggio. “La notte dei senza dimora”. Solo per una notte? Siamo in ricerca di quello stile di essere Chiesa che viene dal futuro: il Concilio Vaticano II e le sue forti spinte, che ad un occhio attento risultano come un cambiamento radicale: la centralità della Parola di Dio, nella vita di ogni cristiano, l’urgenza della Chiesa a fianco del mondo, come anima e sale, la liturgia come forma di presentarsi al mondo, "culmine e fonte", più partecipata da tutti i fedeli. La Chiesa come Popolo di Dio. Un popolo di inviati ‘alle genti’.
Ma il nostro progetto di vita non ha ancora assimilato la dimensione della missione: andare con gioia e ritornare per cambiare i nostri stili e modi, raccontare e moltiplicare le esperienze, trovare i linguaggi giovanili, costruire piccole comunità accoglienti, piccoli gruppi del Vangelo, radunare le forze vive e i carismi di tutti, come diocesanità in missione, come scambio fra Chiese, come ascolto e visitazione. Allargare, aggiungere e comprendere l’evento ‘epocale’ delle migrazioni. La presenza di ‘estranei’ alla nostra mensa è qualcosa di grande e non una minaccia. Condividere non vuol dire sottrarre. È qualcosa che riempie un vuoto. La paura invece genera distanza. Cercare insieme una nuova chiave di lettura delle situazioni. La solidarietà-carità non può essere limitata. Tocchiamo con mano il VANGELO. Una pedagogia interculturale di accoglienza, che da parola si fa azione, cultura autoctona disponibile a confrontarsi con l’altro, attenzione ai bisogni e ai diritti, voce delle minoranze etniche. È stile e modo di tutta la comunità. Per finire, “La Chiesa sia: una Chiesa invitante, una Chiesa dalle porte aperte, una Chiesa calorosa e fraterna, una Chiesa delle generazioni, una Chiesa delle opere, dei vivi e di chi non è ancora nato. Una Chiesa di chi c’era prima di noi, e di chi è con noi, e di chi verrà dopo di noi. Una Chiesa che ride con gli uomini e piange con gli uomini. Una Chiesa che va a cercare gli uomini là dove si trovano: nei luoghi di lavoro e di divertimento, ai cancelli delle fabbriche e sui campi di calcio, fra le quattro mura di casa. Una Chiesa dei giorni di festa e una Chiesa dei problemi di ogni giorno. Una Chiesa che non fa del moralismo. Una Chiesa di coloro che falliscono e hanno fallito nella vita, sul lavoro, nel matrimonio. Una Chiesa dei santi ma anche dei peccatori".(Card. Franz Koenig)
La missione è dono. La carità è benedizione per il nostro tempo.
p. Francesco Moser*
*missionario fidei donum a Timor Est
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