Parla il presidente dell'AC italiana che sarà relatore sabato all'Auditorium S. Chiara: “Una Chiesa che vuole bene al proprio tempo“
Prof. Truffelli, nel titolo fortunato del suo ultimo libro (edizioni AVE) lei ha valorizzato il termine credenti " inquieti" usato da Papa Francesco al convegno di Firenze. Perché lo ha trovato così stimolante?
Perché mi è sembrato di scorgere dentro questo richiamo all’inquietudine l’invito a educarci e a educare il nostro tempo a una fede che non anestetizza la vita, ma anzi la assume in tutta la sua complessità: nella sua forza e bellezza, ma anche nella sua drammaticità. E che per questo sa misurarsi con le attese, i dubbi, le fatiche della vita, scoprendo proprio dentro di esse la profondità del mistero dell’amore del Signore. Una fede che non lascia indifferenti, tiepidi, rassegnati, ma al contrario chiede a ciascuno di gettare tutto se stesso nella vita di ogni giorno, nelle relazioni, nel lavoro e nello studio, nella costruzione di una società più umana, nel camminare dentro una Chiesa che vuole bene al proprio tempo.
L'inquietudine, la "santa inquietudine" che Papa Ratzinger raccomandava anche ai vescovi, implica un atteggiamento di continua ricerca, ma talvolta essa appare da una parte infruttuosa e dall'altra fonte di ansia e di incertezza. Come ancorare quest'inquietudine ad una fiducia rassicurante?
L’inquietudine a cui ci spinge il Vangelo non è, credo, di quelle che nascono dalla mancanza di punti fermi cui ancorarsi, ma piuttosto dalla consapevolezza che la fede non può essere ridotta a un prontuario di risposte preconfezionate o a un insieme di certezze trasformate in ponti levatoi, per decidere chi può entrare e chi no. È l’invito a spiegare le vele e affrontare il mare aperto. Cosa che si può fare con serenità e fiducia solo se si è convinti che la rotta non siamo noi a doverla tracciare.
Può anticiparci un percorso pastorale che oggi ritiene particolarmente efficace per portare nelle nostre città la "gioia del Vangelo"?
Penso sinceramente che non esista una risposta a questa domanda, perché ogni contesto, ogni tempo, ogni spazio di relazioni chiede di essere abitata e animata in modo specifico, senza poter applicare ricette preconfezionate. Per poter andare incontro alle attese, alle speranze e alle difficoltà delle persone occorre prendere le mosse da una lettura attenta, profonda, della realtà che si è chiamati a servire. È questo, credo, un aspetto importante dell’imparare sempre più a essere “Chiesa sinodale”.
Girando l'Italia come presidente di Azione Cattolica avrà toccato con mano gli effetti di questo Anno della Misericordia nelle parrocchie. Quali ritiene quelli più duraturi?
L’Anno Santo straordinario ha aiutato molti a rimettere al centro il cuore del messaggio evangelico, l'amore di Dio per l'uomo, la tenerezza della sua misericordia per noi, al di là e a prescindere da tutte le nostre inadempienze, durezze di cuore, infedeltà. E in questo modo ha spinto tanti a riscoprire il significato profondo della misericordia cristiana. Dell’amore gratuito e senza condizioni per il fratello, del perdono come via per lasciare spazio al futuro. Penso che tutto ciò rappresenti un'eredità importante, insieme alle tante concretissime opere di carità che il Giubileo ha generato: mense, luoghi di accoglienza, campi di servizio, e così via. "Segni" che faranno la storia, perché lasceranno solchi profondi nel terreno del nostro convivere.
Cosa apprezza maggiormente del Trentino: i cori, le gite in montagna, l'eredità di De Gasperi, il carisma di Chiara Lubich…
Questa sì che è una domanda difficile. Ma non posso che rispondere, innanzitutto, le montagne. Perché le vostre montagne per me sono le “mie” montagne, fin da quando ero ragazzino. E la montagna è una parte importante di me. Una passione che condivido con mia moglie Francesca, con i familiari, con gli amici. Lo spazio in cui è più facile avvertire il senso dell’assoluto, sperimentando la piccolezza e la grandiosità dell’umano. Il luogo della fatica bella, che ti dà soddisfazione, dell’amicizia che non ha bisogno di molte parole. Insomma, per cavarmela con una battuta, direi che se non avessero avuto le montagne, nemmeno De Gasperi e Chiara Lubich, e con loro tanti alti grandi trentini, avrebbero fatto ciò che hanno fatto…
Grazie professore, la attendiamo a Trento, augurandole anche un’escursione sulle cime attorno alla città.
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