Oltre un milione e mezzo di persone hanno ascoltato le parole di Francesco a Campus Misericordiae. L'intensità della veglia, la notte sotto il cielo di Cracovia e la Messa della domenica. “Noi adulti abbiamo bisogno di voi”, ha detto il Papa ai suoi giovani. “Insegnateci a convivere nella diversità, nel dialogo, a condividere la multiculturalità”
Cracovia – 30/31 luglio. Sull’immensa spianata di Campus Misericordiae ragazze e ragazzi sorridono, si guardano tra loro e alzano lo sguardo fin dove l’occhio riesce ad arrivare. È l’istintiva risposta alle parole appena pronunciate da Francesco. “Nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la felicità con un divano: kanapa!”.
Qui di divani non c’è nemmeno l’ombra, sembrano dire le facce dei giovani. Fin dalle prime ore del mattino l’erba è schiacciata invece da teli, sacchi a pelo, zainetti e tende improvvisate per proteggersi dal calore. La felicità a Campus Misericordia si trova nella scomodità, nello sporcarsi i piedi scalzi sulla terra. Tra spalle scottate dal sole.
Contro la “kanapaszczęście, la divano-felicità”, invece, risuona il monito di Francesco, che la definisce “la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più”. Che addormenta, che imbambola, mentre altri, prosegue il Papa, “forse i più vivi, ma non i più buoni, decidono il futuro per noi”. Per questo, continua, “il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani divano, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora con gli scarponcini calzati”.
“Volete essere imbambolati?”, chiede Francesco: “Volete che altri decidano per voi? Volete essere liberi? Volete lottare per il vostro futuro?”, prosegue lasciando qualche secondo tra una domanda e l'altra per ascoltare il coro di risposte, prima timide, poi sempre più decise. “Sì!”.
Parole semplici ma graffianti, che scuotono, che lasciano il segno. Ma anche gesti semplici, come quando il Papa invita i quasi due milioni di Campus Misericordiae a prendersi per mano; vicini sì, ma a contatto, sentendo la presenza dell'altro.
“Sapete qual è il primo ponte da costruire?”, chiede Francesco ai giovani. “Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fatelo adesso, qui, questo ponte primordiale, e datevi la mano”. Non muri ma ponti, mani amiche e mani sconosciute che si allacciano insieme e si spingono verso l’alto. “È il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo, ma non per la fotografia, bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi”.
Prima che quel grande ponte si sciolga in lungo applauso, le parole del Papa pungono ancora la folta platea. “Oggi noi adulti abbiamo bisogno di voi, per insegnarci a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità”, dice sfidando ancora una volta i “suoi” ragazzi. “Che siate voi i nostri accusatori, se siamo noi a creare muri, a creare inimicizie, a creare guerre”.
“Francesco, Francesco, Francesco”, il coro che si leva spontaneo. Poi il rumore delle voci diventa silenzio di riflessione e preghiera. Il sole gioca a nascondino con le nuvole all'orizzonte, un milione di candele si accendono per accompagnare l'adorazione eucaristica.
La Messa. Già alle 5 i primi raggi baciano il campo ancora dormiente. La luce si fa intensa, l'umida notte è alle spalle ma lascia i suoi segni sui colorati sacchi a pelo. Tornano a sventolare le bandiere, si alza la musica. Le transenne che dividono i settori dalla strada sono già affollate da chi non vuole farsi scappare l'opportunità di vedere passare a pochi metri il Papa.
“Non accettarsi, vivere scontenti e pensare in negativo significa non riconoscere la nostra identità più vera: è come girarsi dall'altra parte mentre Dio vuole posare il suo sguardo su di me, è voler spegnere il sogno che egli nutre per me”, dice il Papa ai giovani nella sua omelia, sottolineando che “la GMG comincia oggi e continua domani, a casa”. Il Signore, spiega Francesco al termine dell'omelia, “non vuole restare in questa bella città o nei ricordi cari, ma desidera venire a casa tua, abitare la vita di ogni giorno: lo studio, i primi anni di lavoro, le amicizie e gli affetti, i progetti e i sogni”.
Finisce la Messa, sale il vento, le nuvole inondano di pioggia la grande spianata che si sta lentamente svuotando. Poncho e zainetto in spalla si torna a camminare. Verso casa, verso Panama.
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