Il dramma della Turchia e la fuga dalla Siria nelle parole del vicario apostolico in Anatolia, il gesuita padre Paolo Bizzetti, che ha incontrato mons. Tisi
"Riuscire a far tacere le armi sarebbe già un ottimo risultato, invece continuano ad arrivare nuovi rifornimenti, anche nel porto di Iskenderum, la città dove vivo, vicino ad Antiochia, ma spero che questa tragedia diventi così insopportabile per le coscienze da favorire un radicale mutamento di rotta. Occorre mobilitarsi a livello politico, culturale, spirituale: il Medio Oriente è un crocevia di cui nessuno può fare a meno, ma prima di tutto è il nostro vicino di casa. Non possiamo ignorare quello che sta succedendo". Una testimonianza non rassegnata quella di padre Paolo Bizzeti, Vicario apostolico di Anatolia ospite a Villa S. Ignazio domenica 31 luglio in occasione della festa di S. Ignazio di Loyola. Dopo la Messa con l'arcivescovo (vedi a lato) e il coro polifonico ignaziano, la cena condivisa con le famiglie siriane accolte a Villa S. Nicolò, il loro ascolto e le riflessioni del Vescovo gesuita di Antiochia, successore di don Padovese, ucciso sei anni fa nel suo vicariato.
"Ho viaggiato nel Medio Oriente per 30 anni, ma solo ora, stando lì – ha esordito padre Bizzeti – ho capito che la situazione è diversa da come la raccontano i giornali. Ho saputo del golpe in atto grazie ad amici che mi hanno scritto dall'Italia, ma questa immediatezza dà l'illusione di capire cosa accade, invece non sappiamo cosa c'è dietro la facciata, anche perché in Turchia c'è un controllo pesantissimo sui mezzi di informazione con 1500 giornalisti in prigione". Il gesuita ha ricordato che ne "Il patto con il diavolo" (Bur, 2016), il giornalista Fulvio Scaglione spiega "come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis", documentando la politica ormai decennale che ha reso il Medio Oriente un luogo dove il conflitto è alimentato dal business del commercio di armi.
"Ci scandalizziamo perché i cristiani sono perseguitati, ma la maggior parte di morti per colpa del terrorismo sono musulmani e Isis acquista le armi da Paesi europei che a loro volta acquistano di contrabbando il petrolio. Isis ha notevole presa mediatica e affascina personalità deboli, ma chi vive qui non pensa che ci sia reale volontà di arginare il terrorismo da parte dell'Europa".
Padre Bizzeti sta lavorando ad un progetto per il rilancio della Caritas, chiusa cinque anni fa, che si occupava dei più poveri e ora deve far fronte alle necessità dei migliaia di profughi cristiani costretti a fuggire dalla Siria e dall'Iraq: "Dobbiamo impegnarci a far rispettare i diritti dell'uomo e aiutarli a ricostruire la loro vita là, senza costringerli a venire in Europa: vogliono rimanere vicini alle loro case dove sperano di tornare finita la guerra civile ed è importante portare anche sostegno spirituale. I pellegrinaggi in Turchia sono scomparsi e i cristiani, che rappresentano una comunità piccolissima, si sentono abbandonati, senza dimenticare il fatto che le chiese cristiane orientali sono un patrimonio culturale che dobbiamo tutelare".
Sullo scacchiere internazionale ci sono però tanti interessi in gioco e non è semplice capire se c'è spazio per una soluzione diplomatica che renda possibile un nuovo equilibrio. "In seguito alla Brexit e al tentato golpe in Turchia, l'Europa si sta indebolendo; tuttavia – ha proseguito – non c'è altra alternativa che quella del vivere uniti, e le comunità cristiane di cui sono vescovo, pur percependosi come mosche bianche, hanno imparato a vivere e trasmettere la fede in un contesto dove la scelta di diventare musulmani è dettata semplicemente da motivi di sopravvivenza".
Due settimane fa padre Bizzetti ha incontrato una comunità di rifugiati iracheni, 510 persone tra cui donne e bambini che non vanno a scuola e non lavorano da due anni: "Sono ben organizzati, hanno anche un comitato parrocchiale e mi hanno chiesto di trovare un prete che celebri messa il 15 agosto perché senza Eucarestia è difficile andare avanti e di portare loro anche copie del Vangelo”.
Tra i motivi di gioia nel giorno della festa del fondatore della Compagnia di Gesù, padre Alberto Remondini ha ricordato il 60 anniversario di sacerdozio di padre Livio Passalacqua e la presenza del vescovo Lauro a cui è spettato il saluto conclusivo: "Queste testimonianze – ha commentato – devono restarci nel cuore e dobbiamo imparare a stare in silenzio e interrogarci sulla realtà invece che semplificarla, dimenticando che milioni di uomini muoiono nella nostra indifferenza".
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