“Soffitte del Nordest” è il titolo accattivante di un nuovo libro di Fausto Pajar, giornalista di lungo corso, trentino di origine ma vissuto per lo più tra Friuli e Veneto – ha lavorato per quasi 40 anni al quotidiano “Il Gazzettino” – e per questo buon conoscitore del “Nordest”.
Le “soffitte” in cui ha rovistato Pajar sono una simpatica metafora che indica lo spazio interiore di ciascuno di noi in cui sono accatastati, spesso un po’ alla rinfusa, ricordi di una vita, legati per lo più a momenti ed emozioni che hanno lasciato un segno nella nostra intimità. “In una sorta di soffitta degli affetti – scrive Pajar nell’introduzione – tutti noi conserviamo nel cuore i volti, i gesti, l’amore delle persone scomparse”. Il sottotitolo del libro è, non a caso, “Persone, cose e fatti che parlano al cuore”. E nelle pagine del libro scorrono infatti storie di persone e di luoghi che, nel loro intrecciarsi, ricostruiscono un pezzo di cultura comune alle terre che formano il Nordest e che il cronista, nato e vissuto in queste terre, ha raccolto per lavoro, ma anche per passione, durante tutta la vita. Ci sono storie allegre e storie dolorose, ricordi d’infanzia e rimandi a tradizioni antiche, racconti leggeri e riflessioni profonde. Non mancano, in queste “soffitte del tempo”, alcune dotte digressioni sulle origini della lingua veneta, ma raccontate con tono scanzonato e coinvolgente. Un piccolo gioiello nella parte centrale del libro è la deliziosa descrizione delle vecchie osterie di Treviso, raccontate attraverso un personaggio tra il gaudente e il filosofo che con metodo le frequenta tutte ad una ad una.
Pajar precisa, nella prefazione, che a volte i racconti sono scritti in prima persona anche se non è lui il protagonista e questo perché è convinto che “l’uso della prima persona singolare serva ad avvicinare maggiormente il lettore nelle vicende narrate”. Bisogna dire che il risultato è stato raggiunto: il libro si fa leggere, appassiona, invoglia a saperne di più di quelle persone e di quei fatti che ci vengono raccontati. E il merito è in gran parte di una lingua usata in modo impeccabile, con leggerezza ma con precisione, con grande ricchezza di sfumature e con perfetta aderenza alle vicende narrate e agli ambienti in cui sono collocate. Esemplari, in tal senso, sono i racconti “Nebbia di pianura, nebbia di montagna” o quelli dedicati ad una battuta di caccia al camoscio, con una notte passata in baita tra una fitta nevicata e angoscianti rimorsi per la crudeltà verso una creatura innocente. Più ironici e spensierati i toni usati nei racconti dell’infanzia, mentre le storie legate alle tragedie della guerra esprimono tensione, coraggio, altruismo ed incredibili coincidenze fortunate.
Naturalmente tra le “soffitte” del Nordest ce ne sono anche di trentine, come quelle che ricordano le streghe d’Anaunia o il “giudizio di Dio” per una malga.
Il libro, edito da Piazza di Silea (Treviso), si chiude con un breve elenco di parole dialettali utilizzate nei vari racconti.
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