Neppure l’incendio all’inizio di luglio del parlamento di Tobruk, in Libia, è riuscito a riattirare l’attenzione europea su questo disgraziato paese. A guardare la stampa internazionale di quei giorni, a parte qualche breve notizia sui moti di piazza, ben poche riflessioni si sono fatte sulle ragioni all’origine di una rivolta popolare che si è in breve estesa in tutta la Libia.
È vero, il paese è in uno strisciante stato di guerra civile da oltre 11 anni e oggi l’attenzione del mondo è tutta concentrata sul conflitto scatenato dalla Russia contro l’Ucraina. Eppure la Libia rimane uno dei punti di crisi e instabilità più preoccupanti per l’intera Europa e per il Mediterraneo.
È giusto rivolgere oggi gran parte delle nostre attenzioni al fronte est dell’Europa, ma è davvero irresponsabile non occuparsi con altrettanta concentrazione e cura del pericolo che proviene dal fronte sud. È bene infatti ricordare che la Libia rimane il più grande giacimento di greggio del continente africano, da cui dipende anche una buona parte dell’approvvigionamento europeo.
I disordini di questi giorni, estesi a tutto il territorio nazionale, hanno fatto crollare l’estrazione da un milione e duecentomila barili al giorno a poco più di 400 mila. Per l’Italia stessa il calo è stato drastico ed in questi giorni importiamo meno di un quarto del normale. Insomma, un vero disastro, proprio nel momento
in cui l’Europa e il nostro governo stanno disperatamente cercando alternativa al petrolio e gas russi.
Il sospetto è che questo stato di cose non dispiaccia per nulla al Cremlino. Anzi, vale la pena sottolineare il fatto che Mosca è ben presente nel paese africano. Le sue milizie di mercenari Wagner puntellano infatti le ambizioni dell’ex-generale Khalifa Haftar che è riuscito già da anni a dividere la Libia in due parti, quella da lui dominata ad est nella Cirenaica e quella “legittima” del governo di Tripoli ad ovest, riconosciuta dalle Nazioni Unite. È evidente quindi che nel sostenere Haftar la Russia cerca di raggiungere un doppio obiettivo.
Il primo è quello di estendere i disordini a tutto il paese, lasciando mano libera alle numerosissime milizie armate e a quelle criminali che si contendono il potere sul territorio ed indeboliscono di conseguenza l’immagine del governo legittimo.
Il secondo è quello di fare crescere il disagio economico e sociale nella popolazione, togliendo proprio la risorsa principale di reddito costituita dal petrolio. In effetti i disordini nascono essenzialmente dalla mancanza di energia elettrica che in certi giorni arriva a toccare le 18 ore di blackout continuativo. È significativo che lo slogan dei rivoltosi sia “vogliamo la luce”!
Naturalmente la quasi scomparsa dei proventi del petrolio, proprio in un periodo in cui il prezzo del brent è schizzato a 147 dollari a causa dei tagli operati dalla Russia, si ripercuote sul potere di acquisto della popolazione e sulla crescita esponenziale del costo dei prodotti alimentari che per la Libia sono tutti di importazione. A cominciare dal grano in provenienza dall’Ucraina e dalla Russia oggi bloccato nel Mar Nero.
Di conseguenza la situazione in Libia tende ad uscire anche da quel minimo di controllo politico e di sicurezza che era stato assicurato un anno fa dall’accordo di cessate il fuoco fra le due parti in conflitto.
Per noi italiani il caos libico è ancora più pericoloso ed insopportabile che per i nostri partner europei. La ragione è molto semplice ed è legata al fatto che una Libia sempre più ingovernabile e attraversata da rischi reali di guerra civile finirà per riversare sulle nostre coste migliaia di immigrati, compresi alcuni libici in fuga dai disordini.
Anche sul tema dell’immigrazione l’attenzione europea si è tutta concentrata sui rifugiati in fuga dall’Ucraina e le porte dell’UE si sono aperte subito a questo grande flusso di migranti. Finalmente, verrebbe da dire: l’Europa si è fatta accogliente e solidale. Ma allora, non era proprio questa l’occasione per affrontare seriamente tutto il grande tema dell’immigrazione verso l’Unione? Anche quella che viene dal sud e non solo dall’est? Purtroppo nulla di tutto ciò è avvenuto e le inaccettabili regole di Dublino 2, che mettono in capo al primo paese di accesso il peso di gestire l’immigrazione, non sono state toccate.
Facile quindi prevedere che si riproporranno i vergognosi balletti di scarica-barile da parte dei nostri partner del nord Europa su Italia, Grecia e Spagna per l’accoglienza e gestione dei flussi di migranti dall’Africa. Ma se queste regole non si vogliono cambiare, almeno ci si aspetterebbe da Bruxelles un grande impegno politico ed economico di stabilizzazione della Libia, che non è solo immigrazione ma anche interesse energetico e geopolitico. Regalare questo cruciale paese alle mire espansive della Russia (e della Turchia per il suo sostegno militare a Tripoli) rientra nella stessa logica di contenimento dell’invasione
dell’Ucraina, che si cerca di aiutare non solo nell’interesse di quel paese, ma delle stesse democrazie europee minacciate dai regimi autocratici e dittatoriali che intendono indebolirle.
Sarebbe anche compito del nostro governo insistere con i partner dell’UE per riportare la Libia nel centro delle politiche e delle azioni che l’Unione deve affrontare e possibilmente risolvere assieme. Ma come tocchiamo con mano ogni giorno, da noi l’interesse prioritario del paese viene purtroppo declassato in secondo piano rispetto ai contorcimenti e le piccole diatribe di potere delle nostre forze politiche. Non ci rendiamo conto del rischio che corriamo.
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