Dall’Ucraina a Brione in fuga dalla guerra: “I nostri primi quattro mesi sui monti”

Ludmilla, Alona e Daniel vivono da fine marzo a Brione, ospiti di Grazia Scaglia e della madre Bepina

Li vediamo in televisione, ascoltiamo le loro testimonianze. Sono le nonne, le mamme e i bambini fuggiti dall’Ucraina presenti ormai da qualche mese anche in Trentino. Quando hai l’occasione di incontrarli dal vivo, di incrociare i loro sguardi, di vedere le mani intrecciate ad esprimere la tensione che i ricordi evocano, l’emozione ha il sopravvento. Così è capitato a noi con Ludmilla, Alona e Daniel, che da fine marzo abitano a Brione, piccola ma unita comunità di circa cento persone.

I tre giovani componenti della famiglia ucraina (la nonna ha cinquantadue anni, la nuora ventotto e il figlio sei) sono ospitati in casa di mamma Bepina e della figlia Grazia Scaglia. Il marito di Ludmilla, sessantadue anni, fino a due settimane fa è rimasto a Mykolaiv. Non voleva andarsene, raccontano. Ora, impaurito dai continui bombardamenti delle truppe russe, assieme a tantissime altre persone si è spostato verso il confine moldavo.

Il figlio, marito di Alona, è invece in una speciale missione formativa per diventare graduato con l’esercito ucraino e non può dire dove si trova. Li sentono ogni giorno al cellulare; finora dicono di stare bene. “Se smetteranno di cadere le bombe tornerà a Mykolaiv; altrimenti, forse ci raggiungerà”, dice Ludmilla.

Bionda, stupendi occhi verdi, vestita con un paio di pantaloncini in jeans e una bella maglietta bianca come tante altre ragazze, Alona ricorda come è maturata la decisione di partire. Di giorno e di notte si doveva cercare rifugio in cantina, Daniel soffriva di grossi problemi alle vie respiratorie, in città mancava tutto. Era la metà di marzo. Non ce la facevano più. Quando la mamma, badante in quel di Ponte Caffaro, le ha chiesto di venire in Italia, Alona ha messo insieme le medicine per il figlio e assieme alla suocera è immediatamente partita.

Brione, piccolo borgo di un centinaio di abitanti

Ci sono voluti tre interi giorni di viaggio per arrivare a Brione.

Ora vivono in un appartamento collegato con quello di Bepina e Grazia, dicono di stare benissimo, sono riconoscenti dal profondo dell’animo alla famiglia e al paese che li ha accolti. Non hanno voluto la tv in casa, perché, fa capire Ludmilla, guardare i servizi sull’Ucraina fa stare male (“Guardo gli occhi di quelle persone e piango”). Grazia con mamma Bepina si è affezionata loro tanto da considerarli parte della famiglia e vorrebbe che certe notizie fossero trattate con maggiore delicatezza.

Bepina, dopo una vita da impiegata comunale, si è reinventata maestra insegnando loro l’italiano (ma hanno imparato anche qualche parola in dialetto: “ho capì” e “bah”, interiezione che piace molto ad Alona).

Le due nonne di casa si scambiano anche ricette di cucina e la famosa zuppa “Borsch” domina incontrastata a tavola.

Ludmilla e Alona hanno anche deciso di vangare e piantare l’orto di casa, con risultati davvero ottimi, dice Bepina (“Mai avuto un orto così!”).

Il piccolo Daniel va e viene allegramente con i suoi nuovi amichetti a giocare con l’acqua alla fontana vicino a casa, frequenta l’asilo a Condino, afferma di amare di più i bimbi “grandi, con muscoli”. Con quello che ha vissuto, ragiona Grazia, sembra più grande della sua età e forse si sente anche in dovere di “difendere” se stesso, la mamma e la nonna da ogni male. A Brione può girare libero per il paese senza che la mamma vada in ansia.

Nonna e mamma hanno capito che non potranno tornare in Ucraina tanto presto, come inizialmente sperato. E stanno pensando di iscrivere il piccolo a settembre alla scuola elementare di Condino. “Mi dispiace per loro, ma mi sarebbe rincresciuto da morire vederli andare via”, osserva Grazia alla quale chiediamo se consiglierebbe ad altre famiglie di fare questa esperienza. “Certo”, risponde senza esitare. Però, aggiunge, occorrerebbe facilitare chi si offre di accogliere: “Ci siamo trovate a combattere con un sacco di pastoie burocratiche e se non fosse stato per l’aiuto di alcune impiegate del comune di Borgo Chiese e della gente della comunità, saremmo state incapaci di muoverci. Il Cinformi fa tutto ciò che può, ma è sottodimensionato per la mole di lavoro che ha. Bisogna assolutamente che la Provincia ci metta rimedio”, conclude decisa Grazia.

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