Un abbraccio e tre baci, poi un lungo sguardo fisso negli occhi. Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia si sono incontrati venerdì 12 febbraio in una sala dell’aeroporto internazionale de L’Avana: un incontro che cancella un millennio di lontananza (si veda il commento di don Cristiano Bettega a pag. 38).
A porte chiuse, Francesco e Kirill hanno parlato per due ore. “Una discussione fraterna” – l'ha definita poi il Patriarca – “che ci ha dato la possibilità di comprendere e sentire la posizione dell’uno e dell’altro. I risultati di questo colloquio permettono di dire che le nostre due chiese possono lavorare attivamente”, “insieme” e “con piena responsabilità” affinché “non ci sia più la guerra, affinché ovunque la vita umana sia rispettata e perché si rafforzino le fondamenta della morale della famiglia e della persona”. Le parole del Patriarca sintetizzano bene i contenuti della Dichiarazione comune che Francesco e Kirill hanno firmato al termine del loro colloquio privato. Le sfide del mondo “richiedono una risposta comune”: per questo “ortodossi e cattolici devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario”.
In 10 pagine, la Dichiarazione comune affronta molte questioni urgenti, a cominciare dal Medio Oriente. Alla comunità internazionale viene rivolto un appello affinché “faccia ogni sforzo possibile” per porre fine alla violenza e al terrorismo e contribuisca attraverso il dialogo, l’attivazione di canali umanitari e il tavolo dei negoziati a un rapido ristabilimento della pace civile in Siria e Iraq. Francesco e Kirill hanno nel loro cuore la sorte dei cristiani perseguitati e rivolgono un appello anche per la liberazione dei due vescovi rapiti in Siria, Paolo Dall'Oglio e Giovanni Ibrahim, sequestrati nel 2013.
All’Europa viene rivolto l’appello a rimanere “fedele alle sue radici cristiane”, nato dalla preoccupazione di fronte all'“ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo”, che spesso spinge i cristiani “ai margini della vita pubblica”. Nella Dichiarazione si parla della famiglia fondata sul matrimonio e sull’amore “di un uomo e di una donna” e si esprime rammarico per l’emergere di altre forme di convivenza “poste allo stesso livello di questa unione”.
Più delicata invece è la questione dell’“uniatismo”, legata alla Chiesa greco-cattolica e all’Ucraina. La Dichiarazione lancia un appello coraggioso: “Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili”, unito all'appello di pace per l'Ucraina.
Il mondo contemporaneo – così si conclude il documento – “in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’umanità”.
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