Sulla vetta della Marmolada, a Punta Penia, domenica 3 luglio, al momento della tragedia, c’era anche Mauro Baldessari, funzionario di banca e nel direttivo della Sat di Albiano. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare il suo ricordo e le sue impressioni su quanto avvenuto.
Baldessari, qual è il suo racconto di domenica?
Come tutti gli escursionisti presenti, quella mattina siamo saliti in Marmolada in cordata, con le dovute precauzioni e l’attrezzatura specifica per un ghiacciaio. Alcuni giorni prima, come faccio sempre da quattro o cinque anni a questa parte, mi informo sulle condizioni della neve del ghiacciaio: non si possono più guardare le recensioni che si trovano su internet riferite a dieci anni fa perché il tempo è cambiato negli ultimi anni, quindi bisogna sempre informarsi nei giorni prima, una settimana prima per capire la situazione. Noi siamo saliti in cima dalla via normale come tutti quanti, quel giorno era una bellissima giornata, non c’era nessuna avvisaglia. Basta rivedere le foto che abbiamo scattato quella mattina: non ci si aspettava un distaccamento del genere perché non c’era neanche l’acqua che scendeva da lì: era una parete pulitissima di roccia. Siamo saliti e arrivati in cima, e lì dovevamo incontrarci con un amico che è partito prima di noi, salendo però dalla ferrata. In cima dovevamo trovarci verso le 12.15/12.30, ma lui era in ritardo. Lo abbiamo aspettato mangiando un panino al rifugio, salutato il gestore, Carlo Budel, e all’una avevamo in mente di scendere, a prescindere dal suo arrivo. Allo scoccare dell’ora lui doveva ancora arrivare, quindi ci siamo attrezzati in cordata per scendere con ramponi e tutto, ma proprio quando stavamo per partire abbiamo vissuto quei secondi che ti salvano la vita: il mio amico è sbucato da sopra la ferrata. Ci siamo scambiati due battute, “ma come mai non eri già qui?”, “ah si mi sono fermato a fare due foto”…le solite cose. Lui ci ha detto di andare, dato che eravamo già pronti, proponendoci di rivederci in fondo per una birra, ma noi abbiamo deciso di aspettarlo. Quell’attesa di venti minuti, in cui lui si è cambiato e ha mangiato qualcosa ci ha salvato la vita: noi altrimenti saremmo stati nella zona dove c’erano le persone che si vedono nei video, tra il gruppo di escursionisti e la valanga. Invece fortunatamente eravamo un po’ sopra, dove c’è la ferratina, da dove abbiamo visto tutta la scena, dal distacco iniziale ai detriti, al ghiaccio, all’acqua che scendeva.
Vi siete resi conto subito di cosa stava accadendo?
Io ho visto tre persone in cordata che sono state completamente spazzate via dalla valanga, poi due persone al di là della valanga, che secondo me erano già fuori dal ghiacciaio, che hanno iniziato a correre a perdifiato: probabilmente sono quelli di Pergine che si sono salvati e nascosti dietro ed un sasso. Da lì ho subito chiamato il pronto soccorso. I miei amici erano disperati, tra mani nei capelli, pianti e urla. Con me c’erano due ragazze che erano salite in Marmolada per la prima volta, la loro emozione della mattina che poi è diventata completamente l’opposto subito dopo la tragedia. Sono stato una ventina di volte su in Marmolada, in estate e in inverno, quando di solito si scia anche lì sopra dove è crollato il seracco. Mai avrei pensato a un fenomeno di tale portata nella maniera più assoluta.
Dopo ciò che ha vissuto, come cambierà il suo approccio alla montagna?
Cambierà sicuramente, ma non per questo non ritornerò in montagna. Vorrei tornarci anche subito, proprio per ringraziare il Signore Dio che siamo ancora qua e accendere una candela per le persone che sono morte. In ogni caso, il mio consiglio è di informarsi qualche giorno prima di partire sulla situazione, al di là di ciò che è successo che era imprevedibile. Bisogna avere un’accortezza maggiore, sono molto triste in questo momento pensando al fatto che fra vent’anni non solo non ci saranno ghiacciai ma qualche montagna si sgretolerà purtroppo. Sarà ancora più difficile raggiungere certe vette e certe cime. Il disastro che è successo è come uno tsunami, nessuno poteva prevederlo, non c’era nessuna avvisaglia, non c’erano rivi d’acqua che scendevano da quel punto lì.
Le persone che erano con lei, sicuramente con meno esperienza, come hanno reagito all’evento?
Sono molto più scioccati di me, in particolare le due ragazze, Elisa e Federica, perché era la loro prima esperienza in un ghiacciaio. La gita era programmata da tempo, loro erano felicissime di essere arrivate in cima dopo lo sforzo e la fatica avevano un grande sorriso. Abbiamo scambiato qualche battuta con le persone che abbiamo incrociato e che poi non sono tornate a casa e loro da questo sono ancora traumatizzate da quello che è successo. Una di loro mi ha già detto che non tornerà più in montagna sui ghiacciai, ma sono cose che solo il tempo aiuterà sopra quello che è successo.
Ora, da persona che frequenta la montagna, cosa pensa che vada fatto?
Ho avuto la fortuna di andare in montagna con mio padre fin dall’età di 8 anni. Lui mi ha portato su tutte le montagne del Trentino e le ho viste cambiare notevolmente. Anche per questo io non chiuderei una montagna. Chiudere la possibilità di andare in montagna è una cosa impossibile, è come dire ad un subacqueo di non andare più nel mare perché è arrivato un tsunami. La montagna è libertà, ci sono dei rischi che puoi controllare e penso che le persone come l’altro giorno c’erano tante persone anche più esperte di me, c’erano guide alpine. Ci sono pericoli che si possono calcolare e altri, come questo, che la natura non ti permette neanche di immaginare. Ritengo sia inutile quindi limitare la libertà e la passione della montagna. Certi eventi possono capitare a quote molto inferiori, ma non possiamo farci niente, anzi, invito tutti a vivere la montagna in maniera corretta e sicura.
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