Politicamente l’agenda è bloccata: da un lato le emergenze (ripresa del Covid, siccità, crisi internazionale coi suoi riflessi sull’economia), dall’altro la nostra partecipazione al nuovo blocco, europeo ed atlantico, che è stato imposto dall’avventurismo di Putin. Sul fronte opposto i partiti sono anch’essi bloccati: in questo caso dalla prospettiva elettorale, quanto mai confusa viste le continue fibrillazioni dell’opinione pubblica.
Se non si tiene conto di questa tenaglia non si capisce quel che sta succedendo. A turno i due partiti maggiormente minacciati di ridimensionamento, cioè la Lega di Salvini e M5S di Conte, cercano il palcoscenico e sembrano minacciare sfracelli. Puntualmente tutto finisce in quasi nulla (quasi, perché comunque la situazione si deteriora e prima o poi ne pagheremo il conto).
In questo momento è il turno dei Cinque Stelle che attaccano la politica di Draghi e fanno fuoco e fiamme per far vedere che sono in grado di imporsi. Non ce la fanno e debbono accontentarsi del solito pastrocchietto verbale. La ragione è semplice: loro, ma ahimè anche molti altri politici nonché commentatori anche paludati, non hanno capito come funziona un sistema parlamentare. L’idea che ci sia un governo che deve correre ogni momento a chiedere l’autorizzazione del parlamento per ogni atto rilevante disegna uno scenario impraticabile: in un caso del genere non solo il governo non sarebbe in grado di agire con tempestività di fronte a situazioni che sono mutevoli e non prevedibili, ma non avrebbe alcuna credibilità perché riuscirebbe a decidere solo dopo continui estenuanti dibattiti che non si sa mai come finiscono.
Per chi ha studiato un po’ di storia è una diatriba sul parlamentarismo che si trascina con continui corsi e ricorsi dall’Ottocento sino ai giorni nostri. Draghi, che sa benissimo in che contesto deve agire, non accetta, né potrebbe accettare di essere un premier in balia di sceneggiate parlamentari: non governerebbe più, né avrebbe alcuna credibilità nei consessi internazionali. Dunque fine della storia: i partiti facciano pure un po’ di spettacolino parlamentare con una mozione che ricorrendo alla banalità dei grandi principi astratti salvi la faccia a tutti (ne dubitiamo: poi la gente capisce cosa c’è sotto), ma si lasci far politica a chi la sa fare.
La regola del sistema parlamentare sarebbe un’altra: non quella di sottoporre il governo alla cogestione assembleare delle decisioni, ma quella di ritirare la fiducia al governo se si ritiene che agisca contro le prospettive in nome delle quali ha ricevuto il suo mandato. Il fatto è che nella situazione attuale a questa “normalità” non si può ricorrere. Nessuno se la sente di far saltare il governo nel pieno di una situazione che unisce ad una difficile congiuntura in corso prospettive piuttosto minacciose per il nostro futuro. Al di là della scarsa volontà dei parlamentari di finire in uno scioglimento anticipato della legislatura che farebbe perdere loro un bel numero di mesi di ricco stipendio, c’è la percezione del salto nel buio che comporterebbe il ricorso ad elezioni anticipate (ve lo immaginate lo spread nei non pochi mesi di transizione prima di avere un nuovo governo?). In più c’è l’esigenza di tenere insieme coalizioni poco coese, necessarie anche se la legislatura finirà nei tempi previsti. Perciò, tanto per fare l’esempio più chiaro, il PD non può sbarazzarsi di un M5S in preda a lotte di potere intestine, terrorizzato dal suo futuro e con una guida di spessore più che modesto.
Il risultato della situazione è che partiti bloccati da un contesto che non consente loro di fare politica, perché quella la devono delegare al governo (che per di più non ha nemmeno un “colore” per cui nessuno si può veramente appropriare della sua opera), si sfogano con una campagna elettorale permanente, con la trasformazione della loro attività in un talk show infinito. Ma la politica è altra cosa e dovremmo rendercene conto di fronte a difficoltà crescenti cui non si può rispondere con un po’ di demagogia alla buona: il prezzo della benzina possiamo contenerlo per un po’ con l’ennesimo bonus, ma non si risolve nulla.
Per di più l’orizzonte internazionale si va facendo sempre più scuro. La proclamazione da parte di Putin e compagni di una guerra alla democrazia occidentale non può essere considerata solo parte di un’altra sceneggiata: ci parla di prospettive che non sappiamo quanto riusciremo a contenere, perché è uno scenario nuovo rispetto anche alle fasi più acute della guerra fredda.
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