La Chiesa e i diritti umani

L'intervento di mons. Bressan all'inaugurazione dell'Anno Accademico del Corso Superiore Scienze Religiose

La Chiesa e i diritti umani: questo il tema scelto dal Corso Superiore di Scienze Religiose della FBK, per inaugurare il nuovo Anno Accademico, lo scorso giovedì 3 dicembre. Alla cerimonia era presente anche l'arcivescovo Luigi Bressan, che precedendo la prolusione di Giusep Nay, presidente emerito del Tribunale Federale Svizzero, ha ricordato quanto la collaborazione tra credenti anche di varie fedi e “laici” sia stata fruttuosa nella storia della progressiva affermazione dei diritti dell’uomo.

“Già vedendo il Vangelo noi constatiamo che nell’atteggiamento di Cristo verso le donne, gli stranieri, gli emarginati del tempo, le persone considerate impure, verso il condannato a morte, vi è un’innovazione rivoluzionaria sul valore di ogni persona umana. Essa sarà espressa ad esempio nella lettera paolina a Filemone, dove lo schiavo Onesimo diventa fratello del suo 'padrone'. Non fu ancora la condanna esplicita della schiavitù, ma il seme per portare frutto pieno aveva bisogno di altri fermenti; e qui si vede l’utilità del confronto tra varie istanze e non l’emarginazione”.

Bressan ha citato l’opposizione dei Papi alla Proclamazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 ma anche l'appoggio della Dichiarazione americana del 1776, alcuni anni prima, da parte dell’unico Vescovo cattolico degli USA nel tempo, quello di Baltimora, mons. J. Carroll, in piena intesa con la Santa Sede: “Probabilmente se l’onda libertaria francese non fosse giunta agli estremi del 'terrore', di tante uccisioni e del secessionismo religioso, le reazioni sarebbero state diverse, senza per questo volerle giudicare oggi.”

Bressan ha sottolineato l'esempio del giurista trentino Antonio Martini (1726-1800), tra i cattolici che affermavano i diritti della persona umana pur senza rigettare il riferimento a Dio, e ha ricordato l'impegno di vari esponenti cattolici per arrivare all'elaborazione della Dichiarazione Universale, tra cui quello del Nunzio Apostolico a Parigi mons. Angelo Roncalli che “svolse un ruolo discreto ma opportuno”, e che una volta Papa “darà una prima approvazione alla Dichiarazione stessa nel suo insieme con l’Enciclica Pacem in Terris, e quindi vari testi vengono assunti da Concilio Vaticano II, proprio per quella radice cristiana che avevano in sé”.

Ma per conoscere più adeguatamente la storia e vedere quanto sia proficuo collaborare, anche con qualche tensione, – ha concluso l'arcivescovo – “dovremmo fare un passo indietro al 1941, quando il presidente degli USA Roosevelt dichiarò (il 6 gennaio) che nel nuovo ordine internazionale si dovevano assicurare quattro libertà fondamentali: di parola ed espressione, di religione, dall’oppressione e dalla paura”. Ci si attendeva che quando si fosse elaborata la Carta dell’ONU almeno queste libertà vi fossero incluse, ma nel progetto del 1944 che faceva seguito alle conversazioni di Dumbarton Oaks, vi era un solo brevissimo accenno ai diritti dell’uomo. “La delusione di quanti si aspettavano ben altro della Nazioni Unite fu grave, e si iniziò una vasta campagna di pressione da parte degli Ebrei, dei Cattolici e dei Protestanti americani”, che proseguì negli anni successivi e portò all'elaborazione della Dichiarazione Universale. “Vi collaborarono ebrei, protestanti, cattolici, ortodossi, laicisti, senza preclusioni ed è nato un testo saggio e propositivo di alto valore, che tutti conosciamo e stimiamo”.

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