“Un tempo quel castagnero lassù era stato di proprietà della nostra famiglia – ci racconta il signor Giorgio Trentin, che andiamo a cercare nell’abitazione al centro di Parise e che incontriamo assieme ai parenti – ma poi era stato venduto per ricavarne un guadagno”.
Ci racconta un episodio che conferma la tradizione popolare e che è legato proprio alla nascita del papà nel lontano 1897. Era il mese di ottobre, tempo di battere le castagne e c’era bisogno di qualcuno che facesse la guardia al raccolto: “Una zia, sorella di mio nonno, era stata incaricata di notte di “tenderghe” a quell’albero molto grande e quindi si era presa una coperta per sdraiarsi sul prato ed una pila per illuminare la zona intorno. Ma ogni tanto scendeva giù in paese per vedere se il nipotino era nato, e poi tornava su”.
Una circostanza ben precisa, dunque, che conferma la consuetudine di fare da sentinella e presidiare quelle piante particolarmente abbondanti di frutti. Negli anni della miseria non bastava il riccio a proteggere la castagna. Il prelibato frutto autunnale andava custodito, difeso. Rappresentava un tesoretto per chi ne possedeva alcune piante di buona qualità, al punto che – come racconteremo in questa storia tutt’altro che leggendaria – poteva capitare che il proprietario vigilasse anche di notte, sdraiato ai piedi dell’albero, affinché qualche ladruncolo non approfittasse del buio per una “battuta” clandestina, davvero redditizia.
Valeva tanto un chilo di castagne, allora? “Le vendevano bene, veniva gente anche dal Veneto ad acquistare – osservano i Trentin – Pensate che fino agli anni Ottanta ne producevamo anche 10 o 11 quintali”, dicono i Trentin, che aggiungono un po’ amaramente: “Adesso si arriva appena ad un quintale…”
Chissà quante ne ha viste il grande castagnero di Parise… “A me risulta – osserva Giorgio – che dovrebbe avere circa 300 anni di vita, ma forse lì vicino, nei pressi dell’albergo “Negritella” ce n’è uno ancora più grande…”.
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