Il praticoltore Gabriele Iussig

Gabriele Iussig, praticoltore, dal 2019 lavora al CTT della Fondazione Edmund Mach di San Michele

Il praticoltore studia i prati e la loro gestione. Un vero e proprio “medico dell’erba” come ha raccontato alla classe 1A della Scuola Media dell’Arcivescovile Gabriele Iussig, che dal 2019 lavora al CTT della Fondazione Edmund Mach di San Michele, dove partecipa ad attività sperimentali e si occupa della consulenza tecnica agli allevatori (principalmente in allevamenti bovini e ovi-caprini) in ambito praticoltura e alpicoltura.

Gabriele, in cosa consiste il suo mestiere?
Sono un praticoltore, studio i prati e la loro gestione.

E, precisamente come?
È un lavoro molto vario, il praticoltore viene chiamato per per dare risposte su come gestire un prato che viene mantenuto da un allevatore, principalmente e storicamente per fare fieno e sfamare gli animali. Può capitare però che quell’allevatore si renda conto che c’è qualcosa che non va nel fieno o nell’erba, e allora chiede aiuto al praticoltore per capire come intervenire. Ogni volta che vado a vedere un prato, devo confrontarmi quindi con l’allevatore. E se riesco a dare una risposta ai suoi problemi, se troviamo una soluzione, io sono contento, come se fossi un “medico dell’erba”.

Il suo è quindi un mestiere che si affianca ad altri professionisti della montagna.
Certamente, l’obiettivo, l’oggetto di studio è sempre il prato, ma le esigenze sono tante e differenti e comportano un approccio differente. Pensiamo allo stesso prato dove pascolano le mucche e vi è quindi un’esigenza produttiva, ma magari vi sono anche alcune arnie, e le api hanno bisogno di fiori. Per formazione mi interesso maggiormente alla parte ambientale ed ecologica, della tutela della biodiversità e del suo loro ruolo fondamentale.

Che studi ha affrontato per diventare praticoltore?
Mi sono laureato a Bologna in “Scienze del territorio e dell’ambiente agro-forestale”, ho fatto poi la Specialistica a Torino in “Scienze forestali e ambientali”. A Torino ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sul “Ruolo dei sistemi di allevamento estensivi per la conservazione e la valorizzazione degli ecosistemi semi-naturali nella fascia montana”. All’università ho avuto la fortuna di dei professori che si occupavano da tanti anni dello studio dei prati. E per il modo con cui mi hanno raccontato e mi hanno dimostrato come e cosa cosa si potesse fare in questo campo, ho scelto di intraprendere questa strada.

Il praticoltore Gabriele Iussig

Usa degli strumenti specifici per fare questo lavoro?
In campo non tantissimi e principalmente un GPS, che serve per rilevare la posizione esatta del punto in cui ci troviamo e può essere utile se, ad esempio troviamo una pianta particolarmente rara o abbiamo un problema in un prato da gestire, e dobbiamo dare una collocazione per tornare in un secondo momento. Il secondo strumento è la cosiddetta “lente contafili”, una sorta di microscopio a dieci ingrandimenti che si utilizza per distinguere le varie specie.

Ci sono tanti tipi diversi di “erba” quindi?
Quella che noi comunemente e erroneamente chiamiamo “erba”, in realtà è un ecosistema formato da tante specie diverse. Il prato è un insieme di tante specie che vivono assieme perché condividono le stesse condizioni: a una pianta piace vivere in zone più asciutte o umide, più pendenti o piane, tanto sfalciate oppure mai. La parola “erba” è una parola letterale, di romanzo diciamo, si parla di prato come un’insieme di specie, e ci sono tanti tipi di prati a seconda di come stanno insieme questi tipi di specie.

In Trentino quanti tipi di prato esistono? E in quali zone si trovano?
In valle dell’Adige, ad esempio, non ce ne sono molti, ma proviamo a pensare alle valli di Fiemme e Fassa, o alla valle di Sole: se non ci fossero i prati in fondovalle, ci sarebbe bosco ovunque e quella vallata non sarebbe così bella, in una caratteristica alternanza di boschi, rocce e prati. Alcuni colleghi, in uno studio durato 14 anni, hanno analizzato diciassette tipi diversi di prato in Trentino.

Ma da cosa deriva allora il nome di un prato?
Dalla specie più abbondante, più frequente, più presente di quella specie lì in quel prato.
Ogni volta che si analizza un prato, si pianta uno spillone, si tira una corda di 25 metri ad una determinata altezza, prendendo come modello una specie di pianta. E a seconda del numero di specie che va a sfiorare la corda, quel prato prende il nome da essa. Questa è un’operazione che può durare anche alcune ore.

Vi sono prati più “interessanti” di altri?
Alcuni prati possono produrre una grande quantità di fieno, altri sono più interessanti da osservare ma meno produttivi.
Ci sono prati “ricchi”, dove uno va e può trovare anche specie rare. In alcuni si possono trovare tante specie fiorite e tanti insetti, o animali: prati che quando ci cammini puoi veder volare gli uccelli da un nido. E che emozione!

Quante specie si possono trovare in una prato?
Prendiamo in analisi ad esempio dieci metri quadrati: vi possiamo trovare una decina di specie, ma anche fino a una settantina.

Si capisce che la biodiversità è davvero importante, giusto?
Certamente, perché aiuta un prato ad essere più forte. Anche in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, dove vi sono grandi cambiamenti climatici, un prato che ha una grande biodiversità riesce ad essere più forte e più ricco.

Da questo punto di vista come stanno i “nostri” prati?
Sulle piste da sci non siamo messi benissimo, sulle zone più di versante più ripide va molto molto meglio. Nelle zone di fondovalle, invece, mantenere un prato sta all’attenzione del singolo allevatore.

I giovani intervistatori sul prato del Muse

Da cosa è influenzata la crescita di un prato?
Dalle specie che lo abitano, dalle loro caratteristiche e gestione, ad esempio alla frequenza dello sfalcio. In Trentino ne abbiamo qualche migliaio, non tutte per altro legate ai prati. Le piante, come noi, hanno bisogno di mangiare, e per poter crescere devono avere una giusta quantità di acqua e una giusta quantità di nutrienti.

Ma, quindi, un prato si può costruire?
Sì, si può costruire. Pensiamo che in passato gli agricoltori raccoglievano in sacchi tutti i semi che trovavano in fondo al fieno e andavano a gettarli proprio dove il prato era più in sofferenza. Di fatto, lo ricostruivano. Oggi, dove andate a comprare i fiori, si vendono anche semi di piante specifiche per rispondere alle esigenze dell’allevatore.

Quando si trovano delle specie di fiori rare, cosa ne fate?
Nel mio ambito si possono trovare delle specie rare, ma chi si occupa di queste specie sono i botanici, professionisti che studiano la diversità e la ricchezza delle specie che ci sono sul territorio. Nei prati che studiamo le specie generalmente sono comuni, solamente nelle zone di alta quota possiamo trovare le specie più rare. In questo caso si cerca di salvaguardarle. Mi raccomando: quando siete in dubbio, quando vedete un fiore particolarmente bello, fategli una foto, un disegno, ma non raccoglietelo mai! Se lo raccoglieste, nel caso fosse una pianta protetta, rischiereste anche una grossa multa.

Nei prati come ci ha detto, vivono anche tante specie animali.
È un grande ecosistema, dove anche soltanto un piccolo scarabeo è in grado di influenzare la crescita di alcune specie di piante. Nei prati, inoltre, nidificano anche alcune specie di uccelli. Se si vuole produrre tanto fieno, bisogna falciare i prati il prima possibile, ma il rischio è quello di distruggere i nidi e le uova: ecco allora che si sono sviluppati studi per capire quale fosse il momento migliore per lo sfalcio.

Lavora solo in Trentino o anche in altre regioni?
Da quando sono a San Michele, lavoro principalmente in Trentino, ma ci sono progetti e lavori ai quali lavoriamo in collaborazione con aziende in Alto Adige, in Svizzera e in Piemonte.

Se potesse cambiare lavoro, che altro lavoro farebbe?
È una domanda particolare, ma vi posso dire che sono stato fortunato perché quando ho scoperto che cosa mi piaceva, sono poi riuscito a farlo diventare il mio lavoro. Sto facendo esattamente quello per cui ho studiato e lo sto mettendo in pratica, diventando così il lavoro di ogni giorno. Tante volte non capita, non bisogna demoralizzarsi, a volte si fanno dei percorsi e a volte il lavoro è completamente diverso, ma questo fa parte del gioco della vita.

intervista a cura della classe 1A della Scuola Media dell’Arcivescovile

 

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